“Consiglio unanime: la spending review regionale è legge”. La nota dell’Assise del Lazio del 21 giugno, al termine di una maratona sostenuta per evitare le penalità del decreto 174/2012, titolava così la soddisfazione per aver raggiunto il traguardo. Al Pirellone la casta lombarda ha regolato i conti il 24 giugno.
Così, scorrendo l’elenco aggiornato sul sito della Conferenza delle Assemblee legislative italiane, all’appello manca solo il piccolo Molise. Buon ultimo. E probabilmente fuori termine, anche se la casta è convinta di no. Cosa si rischia? Di vedersi decurtati i trasferimenti dallo Stato e, perfino, lo scioglimento del Consiglio. Possibile? A leggere senza interpretazioni magnanime il decreto Monti parrebbe proprio così.
Ma raccontiamo la storia con ordine. Il termine per convertirsi all’austerity per chi è andato al voto a febbraio (appunto Lazio, Lombardia e Molise) era diverso per ogni amministrazione. Dipende dalla data della seduta di insediamento dell’Assise. Da quel giorno queste tre Regioni avevano tre mesi per attuare il decreto sulla riduzione dei costi della politica. Il tempo è scaduto in tutti e tre i casi perché la prima riunione di Palazzo Moffa, rinviata ma comunque convocata, c’è stata il 2 aprile. I suoi inquilini stanno ancora preparando l’adeguamento, approfittando del piano B contemplato nel decreto: se la modifica comporta cambiamenti allo Statuto il termine diventa di sei mesi. Si arriva così a ottobre.
Se le cose non cambiano, dunque, fino a ottobre i consiglieri regionali del Molise resterebbero sulla carta fra i più ‘ricchi d’Italia’, tra i meglio pagati insomma. Perché il 174 ha livellato le indennità di tutte le Regioni, imponendo di adottare quelle corrisposte nelle realtà virtuose. In poche parole di assottigliare le buste paga. E di ridurre all’osso i soldi per i gruppi. Tutte le altre Regioni a statuto ordinario e la Val d’Aosta (quelle ‘speciali’ beneficiano di una proroga diversa) hanno già inaugurato la dieta. Oltre al Molise, mancano Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia e Trentino Alto Adige. Il soldato semplice di via IV Novembre intasca più di 9mila euro netti al mese (fra indennità, diaria, rimborso chilometrico e famigerato articolo 7), i due generali-presidenti viaggiano intorno ai 12mila. Con il 174 l’indennità sarà omnicomprensiva (a proposito: c’è ancora spazio per l’articolo 7, bonus per l’attività legislativa di cui non si deve neanche rendere conto?) e diventa, rispettivamente, 11.100 e 13.800 euro lordi (con un netto che dovrebbe essere più misero di quello di oggi).
Le conseguenze per chi non si allinea. Nel decreto 174 c’è un incentivo importante: l’80% dei fondi statali (tranne che per i trasporti e la sanità) viene erogato a condizione che sia attuata la spending review.
Ma c’è, soprattutto, il comma 5 dell’articolo 3 che minaccia: qualora le Regioni non adeguino i loro ordinamenti entro i termini, all’inadempiente sono assegnati 90 giorni per provvedervi. E, ancora peggio, “il mancato rispetto di tale ulteriore termine è considerato grave violazione di legge ai sensi dell’articolo 126, comma 1, della Costituzione”. Il che comporta lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del presidente. Il rischio, secondo gli interessati, non si corre perché c’è tempo fino a ottobre. Il presidente Niro in particolare ha annunciato la presentazione di un testo unico: riduzione delle indennità, dei fondi ai gruppi e nuovo regolamento consiliare. Ha pure dichiarato che conta di farlo approvare entro luglio, senza arrivare all’autunno.
Ma una domanda è inevitabile: coi tempi che corrono – tra scontrini e ricevute che inchiodano gli onorevolini alle loro responsabilità su come hanno speso i fondi pubblici – non era meglio mostrarsi virtuosi? Attuarla subito la spending review, addirittura magari in anticipo sul gong?
rita iacobucci