Prima della riunione coi vertici nazionali dei partiti che lo hanno sostenuto, e che ritiene sarà comunque decisiva per il futuro immediato del suo esecutivo, Francesco Roberti sintetizza con una massima delle sue – quelle a cui ha già abituato il mondo della comunicazione istituzionale molisana – il clima (le ambizioni dei singoli che legittimamente arrivano a Roma) e la cruda realtà: «Non c’è posto per tutti, qualcuno rimarrà solo consigliere regionale. Che non è poco».
Due ore dopo, i telefoni squillano tutti a vuoto. Anche il suo. Il vertice con FdI (Donzelli), Forza Italia (Gasparri), Lega (Locatelli) e Popolari per l’Italia (Niro in quanto vice segretario nazionale perché il leader Mauro è all’estero) va avanti fino a sera inoltrata. Segno, confermano i dirigenti locali e gli assessori in pectore che attendono, come i cronisti, notizie dalla Capitale, che qualche nodo non è stato ancora sciolto.
La giunta di centrodestra che guida Palazzo Vitale oggi è a due: affiancano il governatore l’esponente del Molise che vogliamo (lista dell’eurodeputato Patriciello), Gianluca Cefaratti e il commissario della Lega Molise Michele Marone. Non si sa se fino alla fine sarà l’unico esterno.
Così dovrebbe essere in base ai desiderata delle forze politiche, ma sono in corso derby difficili sia in casa Meloni sia fra gli azzurri. Nel primo caso, dato per assodato l’ingresso nel governo regionale del primo eletto Salvatore Micone, che non ha avuto ruoli di governo con l’amministrazione Toma, la seconda casella (che per il partito della premier non si discute) è contesa. L’ex governatore Iorio, che dalla sua ha esperienza da vendere e un’opposizione tenace all’azione della vecchia giunta, può contare sull’appoggio del ministro Fitto. Ma Armandino D’Egidio, terzo degli eletti di FdI dopo il neo presidente del Consiglio Quintino Pallante, avrebbe conquistato consensi e simpatie in alcuni settori, oggi niente affatto secondari del gruppo dirigente locale.
In Forza Italia, il più votato Nicola Cavaliere non ci sta a restare fuori dall’esecutivo. Ma Roberti non è disposto a rinunciare al criterio della discontinuità. «Che è un concetto distintivo di quella che è stata in questi anni la mia azione politica nel centrodestra», chiarisce. Motivo per cui sia l’ex assessore all’Agricoltura sia il suo collega Vincenzo Niro sono considerati dai bookmaker al massimo papabili per il ruolo di sottosegretario. E, a dirla tutta, sembra avvantaggiato Niro.
Tajani e Gasparri, invece, hanno indicato Andrea Di Lucente come assessore azzurro. Delegato alla digitalizzazione ma comunque solo un “delegato” di Toma. Nel suo caso come in quello di Marone (assessore sì ma per pochi mesi e poi esautorato), la discontinuità è sfumata.
Ma a decidere, dopo aver ascoltato tutti – garantisce anche prima di entrare nella riunione fiume –, è il presidente della Regione. È sua prerogativa anche di declinare in vari modi il criterio che ha scelto per comporre l’esecutivo. E Roberti intende esercitarla. Senza troppi strappi probabilmente.
Per questo l’unico vero dubbio che rimane è se oggi, giornata in cui sono attesi i decreti di nomina, la giunta diventerà a quattro (Cefaratti, Marone, Micone e Di Lucente) o se sarà completa (Iorio o D’Egidio e Niro o Cavaliere o X).
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