Dopo il via libera di Bruxelles alla proposta del ministro Fitto di istituire una sola Zona economica speciale in luogo delle attuali otto (tra cui quella Adriatica in cui rientra anche il Molise), la Zes unica del Mezzogiorno diventa una nuova misura del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
I dettagli sono contenuti nella proposta di modifica del Pnrr illustrata alla Camera nei giorni scorsi dallo stesso titolare per gli Affari europei.
La deadline per realizzare la riforma è fissata al 31 dicembre 2023, l’entrata a regime entro giugno 2024. Oltre alla governance unica, sono previsti un Piano strategico di sviluppo insieme al pacchetto di benefici fiscali e semplificazioni (alcuni già esistenti) per le nuove imprese che avvieranno un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale nella Zes.
Rispetto ai settori di investimento è richiesta una vision strategica relativa a interventi nel campo della manifattura, dell’agricoltura e dell’agroindustria, delle filiere strategiche per la transizione green e digitale, del turismo e della valorizzazione del patrimonio culturale e naturale. Le misure attivabili vanno dal finanziamento del credito di imposta alle imprese che avviano nuovi investimenti (o incrementano) in area Zes sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate nel periodo 2025-2026 (per ora le date sono legate all’orizzonte temporale del Pnrr ma poi si proseguirà con fondi del bilancio nazionale) a un sostegno finanziario ai progetti di investimento nuovi o incrementali nella Zes.
I progetti dovranno essere coerenti col Piano strategico della Zes unica e rispettare principio del “Dnsh” (do no significant harm, in italiano senza arrecare danno all’ambiente).
Si parte con una dotazione di un miliardo di euro.
Dal punto di vista operativo, tutto fa capo a un’unica struttura nazionale «che sarà in grado di promuovere una regia, una visione strategica e linee di azioni unitarie». Forse un super commissario (gli attuali otto quindi hanno i giorni contati), una persona di fiducia di Fitto che operi le scelte e dia le direttive da Palazzo Chigi garantendo azioni omogenee sul territorio, quello che è mancato finora. Comunque un sistema – ha sintetizzato qualche giorno fa La Gazzetta del Mezzogiorno – semplifichi e razionalizzi il coordinamento degli interventi «fermo restando il ruolo delle amministrazioni locali». Inciso che sembra indicare la previsione di un presidio territoriale ma con compiti squisitamente operativi e non politici.
«Rispetto all’organizzazione che consentiva a ciascun commissario di dotarsi di una struttura di supporto dieci unità di personale pubblico e altri dieci consulenti, la riforma prevederà indubbiamente numeri diversi vista la realizzazione in una struttura unica procedendo a riduzioni o accorpamenti di presidi territoriali, sempre se ritenuti necessari. La sforbiciata ai costi – si legge sempre sulla Gazzetta del Mezzogiorno – riguarderà soprattutto i consulenti, su cui si sono accesi i riflettori di Palazzo Chigi e tenuto conto che le strutture commissariali, con un potenziale di 80 unità di dipendenti pubblici, ne hanno attivate meno della metà (36)».