Gentile direttore,
ho letto il suo editoriale “Pronto soccorso ai privati, si può fare”, pubblicato il 17 agosto su Primo Piano, e ho ritenuto giusto tornare sull’argomento per condividere con lei e i lettori qualche riflessione su un tema fondamentale per la salute di tutti i cittadini e la sopravvivenza stessa del nostro sistema sanitario regionale.
Senza alcun intento polemico: se nell’agosto 2023 si avverte (ancora) l’esigenza (sacrosanta) di accendere i riflettori sull’anomalia di un’organizzazione sanitaria che ha privatizzato la cura delle malattie tempodipendenti, in primis ictus emorragico e patologie che richiedono interventi di cardiochirurgia, delegandola a strutture private accreditate prive di Pronto soccorso che accettano solo pazienti in regime di elezione (cioè ricoveri programmati), per dovere di verità non si può tacere l’impegno di pochi comitati e pochissimi politici e professionisti che da anni ne denunciano pubblicamente la vergogna. A partire dall’imponente manifestazione del 2016 a Campobasso per bloccare il POS 2015/2018 del commissario Frattura, proseguendo con il ricorso al Tar del Forum per la sanità pubblica di qualità contro il Dca 47/2017 e quello proposto nel 2021 dal Comune di Campobasso e dal Comitato pro Cardarelli contro il PO 2019/2021 dei commissari Giustini e Toma, precisamente per i motivi indicati nel suo articolo di fondo.
Proprio con riferimento a quest’ultimo giudizio, due mesi fa il Tar ha ordinato alla struttura commissariale di redigere una rigorosa relazione istruttoria volta a far luce, tra l’altro, sull’attuale disciplina dei rapporti tra Regione e Neuromed riguardo al trattamento dei casi tempodipendenti, atteso che il protocollo d’intesa tra la suddetta struttura privata e la Asrem risulterebbe scaduto dal 2019 e mai rinnovato, con la conseguente assenza di obbligo giuridico in capo al privato di ricoverare i pazienti colpiti da ictus emorragico. Attendiamo di leggere la relazione, ma i fatti sono questi, gli atti parlano chiaro (sempre che si abbia la pazienza di leggerli) e l’«incivile odissea», come l’ha ribattezzata lei, è purtroppo sotto gli occhi di tutti.
Sempre per dovere di cronaca, trovo giusto ricordare che per aver ‘osato’ criticare questo sistema organizzativo a dir poco inefficiente, siamo stati persino querelati o citati per presunti danni milionari: è accaduto ad Andrea Greco e almeno due volte anche al sottoscritto. Medaglie al valore, s’intende, se l’alternativa era (ed è) tacere.
Il punto però è proprio questo: perché in tanti, in questi anni, politica e stampa incluse, hanno preferito tacere, consentendo che una situazione chiarissima fin da subito nella sua portata devastante, si incancrenisse irreversibilmente come di fatto è accaduto? Probabilmente perché si continua ad eludere il tema politico di fondo, fingendo di dimenticare che gli interessi in gioco sono enormi e altrettanto eclatanti e sintomatiche le commistioni tra ruoli pubblici e affari privati.
Non credo servano particolari sforzi per affermare l’ovvio, e cioè che il proprietario del Neuromed, a cui sono stati assegnati oltre 150 posti letto nelle discipline neurologiche cancellando integralmente quelli di neurochirurgia dagli ospedali pubblici, con un budget di oltre 40 milioni all’anno destinati per circa l’80% ai pazienti provenienti da altre regioni, è anche il più influente e trasversale esponente politico regionale, che con le sue aziende, peraltro, finanzia direttamente o indirettamente anche l’informazione.
E tanto implica che il coraggio di esporsi, a tempo debito, su temi di pubblico interesse ricadenti su tutti i cittadini, non possa essere degradato alla burletta del voler “fare la guerra”, rispondendo invece a un dovere innanzitutto civico, peraltro obiettivamente apprezzato dagli elettori, come dimostra, ad esempio, il risultato di Costruire Democrazia e la mia stessa rielezione.
In quest’ottica, a scanso di ogni equivoco e a futura memoria, ribadisco il mio punto di vista: la soluzione di privatizzare ulteriormente il sistema è la strada peggiore da seguire che quindi va scongiurata senza tentennamenti, dovendosi viceversa percorrere, in prospettiva, esattamente quella opposta di ripubblicizzare l’assetto sanitario regionale, a partire dalla cura delle malattie tempodipendenti, per garantire l’universalità e gratuità del servizio a tutti i cittadini. Non c’è altra strada per scongiurare il rischio di finire vittime delle logiche private di mercato o, peggio, dei ricatti di quegli stessi operatori privati che, se domani valutassero di chiudere i battenti, ci lascerebbero in braghe di tela, così come se decidessero di ventilare tale ipotesi per ‘alzare il prezzo’ nel tentativo di ottenere dalla Regione condizioni economiche abnormi o persino fuori legge.
Nell’immediato, invece, è sufficiente che la Regione imponga contrattualmente ai privati convenzionati di ricoverare tutti i pazienti tempodipendenti, rimuovendo la facoltà realmente inconcepibile che siano loro a decidere chi e quando ricoverare, il che comporterebbe per gli stessi di accettare il rischio d’impresa di condizioni potenzialmente diseconomiche o di incorrere in statistiche meno favorevoli (con buona pace della sbandierata “eccellenza”).
Per farlo non servono rivoluzioni, basta un atto di vera responsabilità, mettendo nel conto di scontentare qualcuno. Ma forse è proprio questo il problema.
Massimo Romano
Consigliere regionale del Molise