Aumentare fino a 18 mesi (attualmente il limite massimo è di sei mesi) i tempi di trattenimento di “tutti i migranti” nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) e realizzarne almeno uno in ogni regione: è questa la misura che il governo intende adottare per arginare l’epocale fenomeno dell’immigrazione dai Paesi africani.
La decisione di Palazzo Chigi ha sollevato numerose critiche. Anche diversi amministratori di centrodestra non sono convinti della bontà del provvedimento. Dall’inizio dell’anno in Italia sono arrivati via mare 130mila tra donne, uomini e bambini. È impossibile anche solo immaginare di trattenerli tutti per verificare se abbiano o meno i requisiti per richiedere asilo e poi eventualmente rimpatriarli. La maggior parte delle persone recluse nei Cpr non viene rimpatriata perché mancano gli accordi bilaterali con i Paesi d’origine. Detenerle per 18 mesi, in concreto, serve a poco o nulla nella gestione del fenomeno migratorio.
Forse, ma è tutto da verificare, la annunciata misura potrebbe avere un effetto deterrente sulle partenze. Ma è evidente che la moltiplicazione dei Cpr non sarà dirimente nella risoluzione dell’emergenza sbarchi.
La volontà del governo Meloni non trova d’accordo molti governatori e numerosi sindaci.
Cauto il presidente Francesco Roberti, che oggi incontrerà a Roma il ministro dell’Interno per discutere appunto dell’eventualità di realizzare un Centro di permanenza per i rimpatri in Molise.
La scelta del luogo compete al Prefetto, «che – spiega il presidente raggiunto telefonicamente – ha individuato un paio di aree. Allo stato – aggiunge – non disponiamo di un posto idoneo che rispetti i requisiti sommariamente richiesti. Quindi si tratterà di adeguare qualcosa di esistente, realizzando le necessarie infrastrutture per ospitare i 100 migranti destinati alla nostra regione. Per intenderci: non basta un albergo. Serve una recinzione, servono i punti di controllo. Ci sono tanti aspetti che vanno chiariti e che domani (oggi, ndr) saranno oggetto di confronto con il ministro».
Qualche perplessità il governatore la solleva anche in ordine alle condizioni climatiche. «Andiamo incontro all’inverno. Ci sono aree del Molise dove il tempo è inclemente, nevica, le temperature sono rigide. Non si tratta di allestire un campo profughi con le tende. Non puoi allestire una tenda dove nevica, sarebbe disumano. Per questo voglio capire se il Ministero ha un modello da seguire, un “progetto tipo”, è necessario inoltre affrontare il tema delle risorse, dei tempi. Le scelte, insieme alla Prefettura, vanno poi condivise con il territorio».
Alla domanda se, almeno in linea di principio, è d’accordo o meno alla realizzazione di un Cpr per ogni regione, Roberti risponde anteponendo un’esigenza: quella di capire. «Non si può essere d’accordo (o meno) con qualcosa di cui si è solo sentito sommariamente parlare. Non vorrei sembrare ripetitivo, ma donne e bambini, in particolare, non li puoi trattenere in una struttura non sufficientemente riscaldata, nella periferia di un paese dove nevica. Sono certo che dopo il confronto di domani (oggi, ndr) tutto sarà più chiaro».
Categorico invece il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini: «Non siamo disponibili a nulla se parliamo di parole al vento. Io sono abituato a discutere di cosa si vuol fare. Questo è il governo che parla di autonomia e che sta invece centralizzando tutte le decisioni a Roma senza confronto con gli enti locali. Quelle sui Cpr al momento sono parole al vento. Per me non se ne parla assolutamente».
Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli, si schiera invece a difesa di Palazzo Chigi: «Il Cpr funziona molto bene perché garantisce i rimpatri e soprattutto perché garantisce la sicurezza dei cittadini dove è insediato l’impianto. È un impianto controllato, dove chi è all’interno non può uscire e quindi non è impattante per il territorio. E devo dire che nei Cpr non ci sono persone che hanno perso il lavoro o hanno perso il permesso di soggiorno, ci sono tutte persone con precedenti penali. Parlo della mia esperienza con quello di Gradisca d’Isonzo. Ci sono persone con violenza privata, spaccio: vogliamo lasciarle libere di andare dove vogliono senza provvedere al rimpatrio? Quindi quella contro i Cpr è un’impostazione ideologica. Sono invece contrario all’accoglienza diffusa, che è stato un fallimento».
Luca Zaia, alleato del governo, intanto afferma che «sull’apertura di un Centro in Veneto» la Regione non è stata contattata. Il governatore veneto aggiunge che «puntare sui rimpatri è come svuotare il mare con un secchio. La soluzione è far arrivare solo chi ha davvero bisogno».
Anche Eugenio Giani, presidente della Toscana, non è affatto d’accordo: «Non darò l’ok. Il problema è come farli entrare e accoglierli, non come buttarli fuori».
Il sindaco di Firenze Dario Nardella parla di «slogan, dopo i porti chiusi e il blocco delle Ong. Protrarre da 12 a 18 mesi la permanenza nei Cpr non significa risolvere il problema dell’immigrazione irregolare che delinque. Semmai pone un problema di rispetto dei principi costituzionali».
Secondo Matteo Lepore, primo cittadino di Bologna, «i Cpr sono la dimostrazione che i rimpatri non si possono fare perché si allunga la permanenza in centri che in realtà sono carceri. Si vuole far diventare la questione un problema di ordine pubblico».
ppm

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