Non è stato sufficiente il cosiddetto “spalma debiti”. A più di tre mesi dal voto, che ha consacrato sull’altare dei vincitori ancora il centrodestra, non si riesce a chiudere il bilancio di previsione 2023. E se si considera che a fine anno dovrebbe essere licenziato quello del 2024 (le regioni virtuose rispettano i termini), allora si capisce meglio la portata dal ritardo. Clamoroso, mai registrato prima d’ora.
Dieci anni per risanare le finanze e rimettere i conti in ordine a costo di inasprire ulteriormente la pressione fiscale. Sembrava la soluzione, l’exit strategy sulla quale la precedente giunta, pure di centrodestra, aveva lavorato lasciando poi l’ente nel guado, e invece tale non è stata. Perché il disavanzo è mostruoso. E la Regione non riesce a coprire nemmeno il primo anno, non riesce a far quadrare i conti tra entrate e uscite. Serve perciò che il governo Meloni lanci un’altra scialuppa di salvataggio, sennò a che serve la filiera politico-istituzionale? Giovedì il presidente Roberti e l’assessore Cefaratti andranno dal ministro Giorgetti. È un momento delicato pure per il governo nazionale alle prese con la prima manovra sovranista che non dovrà tradire le promesse elettorali. Gli occhi in questi giorni sono puntati sulla Nota di aggiornamento al Def, una sorta di lista dei desideri che gioco forza, viste le poche disponibilità economiche, dovrà subire una bella sforbiciata. Ed è in questo contesto si inserisce la mission molisana di giovedì: ricevere ossigeno per chiudere un bilancio già vecchio di un anno. La ventesima regione ha bisogno di riprendere a camminare per poi correre veloce se vuole salvare la legislatura. Da cinque mesi, tanto per essere generosi, la macchina è ferma. Bandi, pagamenti, contratti, tutto bloccato. Tranne gli stipendi dei consiglieri.

ppm

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