È il grande giorno, onorevole. Oggi arriva Matteo Salvini, il suo ingresso nella Lega è ufficiale. Perché proprio la Lega?
«Perché credo fermamente che sia la scelta migliore. Certo, non sono nato ieri e conosco l’obiezione che in molti stanno avanzando: “La Lega è anti meridionale, fa gli interessi del Nord” e via dicendo. Ma questo ragionamento non tiene conto della realtà dei fatti, e cioè che la Lega è un partito totalmente diverso; un partito ambizioso che punta a radicarsi e a crescere soprattutto nel Mezzogiorno. Ma soprattutto: un partito con una classe dirigente solida, fatta di amministratori capaci, pragmatici. Basti pensare che i tre governatori di centrodestra più amati secondo l’ultimo rapporto del Sole 24 Ore sono tre leghisti: Zaia, Fedriga e Fontana».
Eppure più di qualcuno era pronto a scommettere sul suo addio a Forza Italia per passare con la Meloni.
«Mah, certamente non posso nascondere il fatto che negli ultimi mesi abbia interloquito con varie forze politiche per capire quale strada potesse essere la migliore. Voglio essere molto franco: egoisticamente parlando sarebbe stato più facile per me collocarmi altrove, lì dove, senza presunzione, forse sarei stato eletto senza nemmeno fare campagna elettorale. Ma lì avrei trovato spazio forse per me ma non per tutti gli amici che ai vari livelli – comunali, provinciali, regionali e nazionali – fanno politica o ambiscono a farla. E io non sono mai stato un battitore libero. Voglio continuare ad essere la voce di tanti amministratori di piccoli e grandi comuni che vogliono fare politica 365 giorni l’anno e non solo all’approssimarsi di campagne elettorali».
Certamente si aspetta una domanda sulla riforma dell’autonomia differenziata appena approvata dal Senato.
«Ovviamente. A patto però di uscire dalla propaganda e dai luoghi comuni per guardare le cose in maniera pragmatica e seria. Autonomia differenziata vuol dire sbattere la porta in faccia al vittimismo spendendo in maniera più virtuosa le risorse a disposizione. Va vista come un’opportunità per consentire soprattutto a noi cittadini del Mezzogiorno dì fare uno scatto in avanti in termini di orgoglio. Non dobbiamo avere paura, è un’occasione per fare meglio e per scegliere liberamente il nostro futuro sulla base delle capacità che avremo».
Quindi – è bene ribadire – la riforma non affosserà definitivamente il Molise e le piccole regioni la cui autonomia non può essere garantita solo dalle risorse interne?
«Assolutamente no, è fuori discussione. Senza entrare troppo nei tecnicismi della riforma, il punto centrale non sono le risorse interne, le tasse. Il punto centrale è fissare i cosiddetti Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, che sono a tutti gli effetti il centro della questione, e cioè il nucleo di prestazioni da erogare in modo uniforme sul territorio nazionale per garantire la tutela dei diritti civili e sociali. Hanno una enorme importanza: stiamo parlando di diritti civili e sociali da tutelare per tutti i cittadini».
Da quando è iniziata la sua attività politico-amministrativa non ha mancato una sola elezione. Forse nessuno come lei in Molise: sempre eletto. Si appresta a conquistare per la quinta volta consecutiva uno scranno a Bruxelles dopo l’esperienza in Regione e prima ancora al Comune di Venafro. Non avverte il peso della stanchezza?
«Sinceramente non sono un amante delle statistiche e dei record. Delle passioni sì, invece. E di quelle non ci si stanca mai. Vede, in politica come nella vita professionale e in quella privata io ho sempre creduto che le cose vadano fatte non perché convenga o meno, non perché sia di moda o meno, ma perché è necessario».
Sarà una campagna elettorale complicata. La prima impresa è quella di convincere gli elettori a recarsi alle urne. Un collegio immenso, una fatica enorme.
«Sì, è una fatica enorme, su questo non c’è il minimo dubbio. Fare campagna elettorale su un territorio che va da Teramo e Reggio Calabria è complicato ma allo stesso tempo rappresenta una sfida ogni volta avvincente, ogni volta entusiasmante. Mi piacerebbe che le prossime europee non fossero il solito referendum sul Governo in carica, ma l’occasione per parlare e discutere finalmente dell’Europa che vogliamo, di quello che funziona e di ciò che invece andrebbe riformato. Un approccio del genere sono sicuro che potrebbe contribuire a rendere più partecipi i cittadini e, quindi, ad accrescere il loro interesse nel recarsi alle urne».
Con una guerra al confine, una in Medio Oriente, che Europa sarà quella del prossimo quinquennio?
«La guerra è sempre una tragedia, sempre. E nessuno più della nostra Europa sa bene quanto sia tragico un conflitto lungo e prolungato. Ciò detto, io non so esattamente quale sarà l’Europa del prossimo quinquennio. Posso dire qual è l’Europa che noi vogliamo per il futuro. E cioè un’Europa saldamente radicata ai valori cattolici; che non rinneghi le proprie origini in un nome di un finto perbenismo che sta impoverendo la nostra cultura a tutti i livelli. Vogliamo un’Europa veloce, con meno burocrazia, più efficiente e in grado di dotarsi di obiettivi concreti per le imprese e per i cittadini. E ancora: non possiamo immaginare che gli obiettivi industriali, climatici, energetici e ambientali siano realizzati senza dare il sufficiente tempo di adattamento e senza le adeguate risorse necessarie. Il tempo per scrivere una legge non è quello che serve alle aziende e ai cittadini per recepirla. Vogliamo un’Europa delle tradizioni, delle identità: non possiamo accettare che la nostra storia alimentare viri verso gli insetti, grilli o carni sintetiche. Insomma: un’Europa che non sia il libro dei sogni ma un’Istituzione pratica, semplice e vicina davvero alle esigenze dei suoi cittadini».
Il “suo” Molise, onorevole. Il “nostro” Molise. Sono trascorsi sette mesi dalle elezioni regionali, conviene che quella svolta che forse un po’ tutti si aspettavano non è ancora avvenuta? Probabilmente per via degli atavici problemi di bilancio. Senza una veloce inversione di rotta, questa terra bella e maledetta è destinata a morire.
«La nuova giunta si è appena insediata, diamo il tempo al presidente e ai nuovi eletti di lavorare serenamente. I problemi ci sono ed il lavoro da fare è tanto, questo è certo. Ma dobbiamo tener presente che senza l’approvazione del bilancio regionale per la macchina amministrativa è stato pressoché impossibile lavorare. Di fatto, la giunta regionale è al lavoro da poche settimane. Il presidente Roberti è una persona capace e un amministratore attento per cui, ripeto, lasciamoli lavorare in serenità».
Il suo ultimo mandato, da ministro del governo o da sindaco di Venafro?
«Gliel’ho già detto una volta e glielo ripeto (sorride, ndr): sul mio futuro l’ultima parola spetta, come sempre, a mia moglie. Chieda a lei».
Luca Colella