Due senatori lasciano la maggioranza di Renzi. Mario Mauro, leader nazionale dei Popolari per l’Italia, e Tito Di Maggio mollano il premier e le sue riforme, che da tempo non condividono, nel pantano di Palazzo Madama. Senza di loro i voti su cui il governo può contare scendono a 9. Margine risicatissimo che sulla ‘Buona scuola’ rischia di scomparire visto che la minoranza Pd annuncia che senza modifiche non voterà la riforma. Questa la situazione nazionale, tutta in evoluzione. Renzi, per esempio, ora apre al dialogo sul riordino del sistema di istruzione.
Intanto, scendendo in periferia, il caso scoppia in piena fase ‘pre giro di boa’ in Molise. La maggioranza di centrosinistra è arrivata al tagliando che non può evitare, la rielezione dei vertici del Consiglio regionale prevista dallo Statuto a metà mandato. E il tagliando alla squadra finora evitato, quello che il governatore Frattura aveva avviato senza portarlo poi a termine, si ripropone come ambizione di molti settori della coalizione. Più volgarmente si chiama rimpasto di giunta.
Il capo dei Popolari per l’Italia in Molise è Vincenzo Niro, presidente del Consiglio ‘uscente’. Fino a settembre al vertice di Palazzo Moffa, e poi? Vanterebbe un patto pre-elettorale firmato con l’allora segretario del Pd Danilo Leva (Niro era coordinatore dell’Udeur, che poi ha chiuso di fatto i battenti per abbracciare Forza Italia) che non lo lascerebbe ‘a piedi’: da capo dell’Assise ad assessore, questo lo schema. E lo schema qualche mese fa sarebbe stato benedetto anche a Roma. Ai Popolari per l’Italia che avrebbero chiesto rappresentanza nell’esecutivo di Frattura per la seconda parte del mandato, i dem nazionali avrebbero dato assicurazioni con il responsabile Organizzazione Guerini. Che ora, però, sta per essere sostituito perché Renzi al partito vuole persone di più stretta osservanza. Stasera al Nazareno la direzione decisiva.
Fino a qualche giorno fa le voci di corridoio davano come ipotesi accreditata l’ingresso in giunta di Niro. Al vertice dell’Assemblea salirebbe Vincenzo Cotugno, capogruppo di Rialzati Molise designato presidente del Consiglio già due anni fa e poi rimasto vittima del diktat dell’allora gruppo dirigente del Pd. Ruta e Leva gli preferirono Niro e diedero questa indicazione agli eletti di Palazzo Moffa. La votazione interna finì 7 a 6, uno sgarbo che – tutti lo riconoscono – Cotugno non meritava visto anche che Rialzati Molise al centrosinistra portò nelle urne quasi 15mila preferenze. Ora il mid term offre l’occasione irripetibile di rimediare. E Frattura avrebbe espresso già in più sedi la ferma volontà di farlo.
Se questo è lo schema di base, il divorzio di Mauro da Renzi potrebbe provocare qualche contraccolpo alla posizione di Niro. Che scansa subito gli equivoci: la decisione dei Popolari a livello nazionale non ha appigli locali: “Le alleanze stabilite sul territorio saranno mantenute nel rispetto del rapporto leale fra la nostra area e il Pd”, dice. Insieme alla Regione, insieme nei Comuni di Isernia, Termoli e Campobasso. “Sono contrario alla riforma costituzionale di Renzi perché cancella il regionalismo. Sono contrario alle nozze gay perché per me la famiglia è quella naturale tutelata anche dalla Costituzione. Ma l’intesa locale rimane tale”, aggiunge. Sottolinea spesso il termine ‘lealtà’. Secondo lo schema, qualcuno dovrebbe fargli posto in giunta, uno del Pd o l’unico esterno Nagni. Blindato però dall’asse sempre più saldo fra il governatore e il Molise di tutti. E se il Pd non tenesse più fede al patto che nel 2013 ha permesso a Niro di bruciare Cotugno nella corsa al vertice dell’Assise di via IV Novembre e non fosse disposto affatto a dare spazio anche per via delle novità nazionali? Niro non mette il carro davanti ai buoi. Ma, certo, indica: sarà Frattura a decidere se mantenere o meno l’alleanza. In Regione e, è intuibile a quel punto, anche a Termoli, Campobasso e Isernia.