È un passo avanti o indietro? Di Antonio Di Pietro si possono dire, e si sono dette molte cose, ma non che sia semplice come vuole apparire. Parla in maniera che tutti comprendano, uno slang secondo probabilmente solo a quello del commissario Montalbano, ma non difetta di strategia. Non è tanto ‘contadino cervello fino’. L’ex pm di Mani pulite ha un approccio complesso alla politica, le uscite e i ‘rientri’ poche volte sono casuali o reazioni. Chi lo conosce veramente bene avverte: sa sempre quello che fa.
Il caso è esploso due settimane fa. Manovre e dichiarazioni c’erano già state. Ma mai prima dell’intervista rilasciata a Primo Piano e Teleregione l’ex ministro aveva detto al governatore Frattura: «Sei sicuro che la coalizione che ti ha fatto vincere stia con te? Perché se pensi di fare da solo hai già perso». Con la premessa che in Molise coglie insoddisfazione e che lui preferirebbe non essere candidato ma che se gli venisse chiesto per fare unità non si sottrarrebbe. Da lì in poi è il suo nome quello più accreditato per una successione alternativa a Frattura. Corteggiato da Ruta e Leva, a cui pure ha fatto appello a non dividere. Allora come interpretare le dichiarazioni di ieri mattina a Omnibus, su La7, rispetto alla sua probabile candidatura a presidente della Regione?
Conviene ascoltarle e, per chi legge questo articolo, leggerle appunto. Ospite di Andrea Pennacchioli, in collegamento da Montenero di Bisaccia, Di Pietro discute del nuovo codice per le Ong (sta con Minniti), di migranti, di incendi e piromani che non ti aspetti, dei rilievi dell’Anac di Cantone ai manager Consip. Non più a testa bassa contro Renzi e i renziani, anzi convinto che sia tempo di trovare una sintesi nel centrosinistra. «Non è che soltanto criticando Renzi – ha ribattuto a D’Attorre (Mdp) – risolviamo il problema, dobbiamo anche assumerci la responsabilità di trovare un punto di incontro».
E poi, a metà della trasmissione, Pennacchioli gli chiede: lei sarà il prossimo candidato alla Regione Molise? «Questo me l’hanno detto pure a me…», risponde ridendo Tonino. «Una cosa è certa, non voglio fare infingimenti né ipocrisie, io sono nato nel centrosinistra politicamente. Insieme a Prodi abbiamo lavorato per costruire l’Ulivo come momento di unitarietà e mi piange il cuore a vedere a livello nazionale e a livello territoriale, anche nel mio Molise, mille centrosinistra che sanno solo perdere e litigare fra di loro in una politica che è non più comprensibile. Se a livello nazionale hanno detto a Prodi, a livello locale se dicono a me “guarda che intorno a te possiamo ricostruire un’unitarietà io faccio il soldato da domani mattina. La verità – ragiona però Di Pietro – è un’altra. È inutile che ne discutiamo. Purtroppo, come state vedendo, un centrosinistra unito come era l’Ulivo non riesco a vederlo. E questo mi dispiace».
Missione impossibile? Cosa pensa per esempio della strategia di Pisapia? Che «deve trovare un punto di insieme». E precisa meglio: «Oggi nel mio Molise ho provato a sentire i notabili del centrosinistra, ognuno mi ha detto “se c’è quello non ci sto io”. Ma così si fanno i matrimoni?». Niente veti. Questa è una precondizione per Di Pietro. Ma i veti sono arrivati, e da tempo, dall’Ulivo 2.0. Stop all’alleanza con Patriciello e Alfano (ad Alternativa popolare ha aderito proprio l’ex dipietrista Nagni) è la richiesta fin qui irrinunciabile di Leva, Ruta e dei partiti e movimenti che si riconoscono nel loro centrosinistra. Sempre dall’Ulivo 2.0 il no di fatto alla ricandidatura di Frattura si è materializzato prima con la richiesta di primarie, respinta dall’assemblea dem, e poi con la ricerca di un candidato governatore alternativo. Quindi il fondatore dell’Idv con chi ce l’ha?
Una cosa è certa, per citare una sua espressione. È sulla scena, dove è tornato prepotentemente. E qualcuno scommetterebbe su una sintesi che potrebbe portarlo, in un ritrovato dialogo col Pd, invece che a Palazzo Vitale, di nuovo in Parlamento. ritai

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