Italo Di Sabato, segretario regionale del Prc, rispetto alle evoluzioni della vita politica molisana, sembra aver assunto per scelta un ruolo marginale. Già inquilino di Palazzo Moffa e assessore regionale alla Cultura, Di Sabato ha ripreso in mano le redini della sinistra in Molise dopo una lunga parentesi in Basilicata.
“Sulle riforme – spiega col solito tono di voce incalzante – c’è la necessità di un dialogo generale che è diverso dall’associativismo. Il problema è che la riforma elettorale deve fare i conti con venti anni di fallimenti nelle riforme. Per ridare realmente partecipazione al popolo è necessario che il voto debba contare. Una volta si diceva: ‘‘una testa, un voto’. C’è la necessità di tornare al sistema proporzionale puro affinché si voti per qualcuno e non più contro qualcosa”.
Contrario ad un governo di larghe intese?
“Più che contrario. E’ una ipotesi da respingere con forza”.
Qual è il suo candidato presidente ideale?
“Non esiste. Non voglio un deus ex macchina ma voglio essere parte integrante di una coalizione che sia contraria alla dittatura del governo Monti e dello Iorismo. Ragioniamo sui programmi senza rivolgerci necessariamente a un dio salvifico che, come storicamente dimostrato, aumenta solo i problemi degli italiani e dei molisani”.
Le riformulo la domanda: le piace Frattura come leader del centrosinistra?
“Mi piacerebbe se nel suo programma ci fosse un forte dissenso ed una forte opposizione alle politiche autoritarie di Monti che stanno avendo ripercussioni nefaste anche sul ceto debole del Molise. Ma non voglio parlare di nomi. Dobbiamo costruire prima le fondamenta della casa. Il tetto è l’ultima cosa. Sa perché è implosa la politica molisana? Perché ha costruito prima il tetto. Dobbiamo ragionare sui programmi. La politica è percepita come casta perché s’è allontanata dai problemi dei cittadini. Voglio un vero leader in grado di opporsi alla macelleria sociale. Il fiscal compact comporterà tagli al welfare per venti miliardi l’anno. Nel calcio possiamo discutere di nomi: meglio Cassano o Palacio? Ma in politica non è un problema di chi debba guidare lo schieramento”.
Il suo giudizio sulla politica regionale in tema di lavoro?
“Stanno venendo al pettine tutti i nodi, ovvero tutti i fallimenti delle politiche di intervento su settori produttivi e sociali. Mi spiego: non è sbagliato che la Regione partecipi ma è il modo in cui partecipa. Il paradosso è dettato dallo Zuccherificio, in crisi nonostante sia monopolista nel Mezzogiorno. La sua crisi deriva da una cattiva gestione, non dall’assenza di mercato. In questi anni, purtroppo, le partecipate non sono state viste come garanzia di diritto al lavoro, ma come un ‘‘affare’ per il clientelismo elettorale d’una certa parte politica corrotta ed affaristica”.
E’ contrario al listino?
“Dobbiamo tornare a votare senza indicazioni nel nostro voto e senza l’elezione diretta del presidente. E’ per questo che rifiuto di indicare un candidato presidente. Che sia l’assemblea a decidere chi deve essere il presidente! Il taglio da trenta a venti consiglieri non è un taglio ai costi, ma un taglio alla democrazia e alla rappresentanza: nel ‘‘74 Licio Gelli, nel suo manifesto della P2, aveva già avanzato queste tesi. Se si tornasse al proporzionale, il discorso sarebbe superato. Ognuno potrebbe votare liberamente e poi valutare successivamente la maggioranza. Oggi esiste una ‘‘maggioranza coatta’. La politica è plasmata per i poteri forti contro le esigenze reali e generali dei cittadini. Il centrosinistra oggi come oggi è diverso dal centrosinistra di dodici mesi fa. Non c’è più Berlusconi. C’è un governo tecnico appoggiato dal Pd ed è il peggiore governo dell’Italia repubblicana”.
Chiudiamo con un argomento che le sta particolarmente a cuore: la condanna degli antifascisti per la manifestazione contro Casapound. Lei, sul suo profilo facebook, ha scritto che sono stati condannati per aver cantato Bella Ciao. Non le sembra d’aver travisato la realtà?
“E perché sarebbe stati condannati? Perché da piazza Tedeschi stavano recuperando le proprie auto? La condanna dimostra chiaramente come oggi, dentro una crisi sociale, la repressione diventa elemento fondante dei governi autoritari per reprimere e criminalizzare il dissenso”.