“Allo stato delle norme vigenti – Statuto del 1971 e non ancora intervenuta promulgazione di quello approvato nel 2011 – l’entità numerica dei seggi consiliari resta determinata dalla legge statale che per il Molise ne prevede 30”. Punto. Perché c’è poco da girarci intorno: la disposizione contenuta nell’articolo 14 del decreto legge 138 del 2011 e confermata ‘‘costituzionale’ dalla Consulta non è immediatamente applicabile. Sono le Regioni a dover ridurre le poltrone in maniera conforme a quanto deciso dall’allora ministro Tremonti. Al Molise, scrisse nel provvedimento, bastano 20 consiglieri più il presidente. Il prefetto di Campobasso Stefano Trotta, rappresentante dello Stato con il sistema delle autonomie, ha scritto al presidente del Consiglio Pietracupa e al governatore Iorio per sciogliere un dubbio più volte posto, da ultimo anche dall’esponente Pd Petraroia a Palazzo Chigi. Lo stesso Trotta aveva posto il quesito al Viminale e in base alla risposta del ministro Cancellieri avanza la “prospettiva di un intervento di modifica” che presuppone però il raggiungimento di larghe intese. Se le cose non cambiano e si torna al voto i posti al sole saranno ancora 30. Lo Statuto non promulgato li aumenta addirittura a 32, ma appunto non è in vigore. Certo, lo sottolinea anche il prefetto, la scelta di mantenere lo status quo esporrebbe la Regione ad un “inevitabile contrasto con gli obiettivi perseguiti dal governo volti a conseguire un sensibile contenimento nelle spese”. Un orientamento, questo, che serve al capo dell’Assise Mario Pietracupa per richiamare i consiglieri ad una responsabilità “non solo istituzionale ma anche morale”, in linea con la spending review. Allora il percorso è il seguente: maggioranza e opposizione si accordano per modificare lo Statuto del 2011 e stabilire il numero di 20 consiglieri. A stretto giro approvano anche una legge elettorale condivisa per riorganizzare i collegi e garantire la rappresentanza. Il dibattito sull’ultimo punto è a buon punto. Ma qualche osservazione va fatta sul provvedimento oggetto di modifica, in base al ‘‘suggerimento’ del prefetto Trotta. Varato in via definitiva a febbraio del 2011, fu impugnato dal governo Berlusconi con rilievi che si sono poi rivelati ‘‘infondati’. Ma è anche oggetto di richiesta di referendum abrogativo presentata da otto esponenti di opposizione della passata legislatura (fra cui Romano e Leva). “La sospensione dei termini per il referendum – afferma a suo rischio e pericolo Pietracupa in conferenza stampa – è peraltro terminata da poco. Per questo – chiude il cerchio – bisogna cambiarlo e fare subito. Uno dei motivi per cui è stato chiesto il referendum è proprio l’innalzamento del numero dei consiglieri”. Si può modificare un provvedimento che non è formalmente in vigore? Una questione tecnica, indubbiamente superabile. Se tutti lo vorranno.