Non è una riforma che ha semplicemente tagliato i seggi alla Camera e al Senato, ma una “non riforma” che ha cancellato con un colpo di spugna la rappresentanza di quel 30% che si è espresso per il No. Non c’è nulla da esultare, commenta con un bel po’ di amarezza Vincenzo Niro che guarda oltre il taglio lineare di una proposta demagogica, «lo scalpo portato in premio ai populisti pentastellati». L’assessore regionale ai lavori pubblici fa l’esempio di una fabbrica che naviga in brutte acque: tagliare il personale non evita il fallimento, per superare la crisi bisogna ridurre invece i costi. «La riduzione della rappresentanza non corrisponde a una riduzione delle spese che anzi raddoppiano a scapito anche della funzionalità perché, senza la riforma dei regolamenti parlamentari, i 600 deputati e senatori dovranno fare quello che oggi fanno in 935».
E il Molise rischia di pagare un prezzo piuttosto alto da questo taglio che darà maggiore forza alle segreterie di partito. «Seguendo un criterio puramente ragionieristico potrei anche dire che 4 parlamentari molisani su 600 contano più che 5 su 935. Ma la politica non è convenienza – argomento Niro – e, senza paletti, il pericolo per la nostra regione è dietro l’angolo. Già in passato siamo stati terra di conquista per leader nazionali candidati nei nostri collegi che con la riduzione dei seggi faranno gola più di ieri».