Dall’elezioni del Capo dello Stato, passando per le dimissioni di Luigi Di Maio, alle regionali del 2023.
Come nel suo stile, Andrea Greco, leader pentastellato in Consiglio regionale, non le manda a dire.
Bene il “campo largo”, invocato da Enrico Letta, ma mai con Renzi e Patriciello – il suo ragionamento. Il Pd? Parliamone – dice. Ma i molisani – la tesi del capogruppo del Movimento 5 stelle – non hanno dimenticato l’esperienza di governo con Frattura.
Niente compromessi al ribasso, dunque. Almeno nelle intenzioni.
Greco non avanza nomi, boccia però Micaela Fanelli e Tecla Boccardo. E si dice pronto anche a fare un passo di lato nell’interesse dei molisani.
Tra i grandi elettori del Presidente della Repubblica. Scegliere la prima carica dello Stato in una condizione non affatto semplice. Ha avvertito il peso della responsabilità?
«Senza ombra di dubbio, stiamo attraversando un momento delicatissimo per il Paese e, quindi, le scelte a ogni livello politico e istituzionale influenzano la vita dei cittadini. È questa la grande responsabilità che ho sentito in quei giorni».
Retroscena, dinamiche poco note. Racconti qualcosa che è sfuggito ai media.
«Credo che ai media non sia sfuggito molto di quello che è accaduto durante quei giorni. Eravamo sotto i riflettori h24. La netta sensazione che ho avuto è che molte persone lì dentro, soprattutto tra i leader dei partiti di destra o centrodestra, erano più concentrate a pensare ai posizionamenti futuri e a quello che poteva rappresentare l’elezione del Presidente della Repubblica in termini di incarichi di governo e quant’altro. E questo, indubbiamente, cozza con lo spirito che dovrebbe essere alla base dell’elezione del Capo dello Stato».
Abbiamo imparato che non le manda a dire. Ha provato un po’ di imbarazzo nell’assistere all’indecoroso teatrino andato in scena?
«Certamente, la politica a mio avviso non esce bene da queste giornate, perché i cittadini chiedevano un segno di discontinuità rispetto al passato. Purtroppo, invece, non si è fatto altro che acuire la distanza tra cittadini e politica. Ad esacerbare gli animi ha contribuito anche la sovraesposizione mediatica dell’evento, il monitoraggio h24, solo in parte giustificato dalla grande attenzione che c’era sul tema. È come se nel mondo social e televisivo si scommettesse già nel fallimento delle trattative e ciò ha generato un clima di tensione, che di certo non ha favorito lo svolgimento dei lavori. Al netto di queste riflessioni, il dato di fatto è che la politica non ne esce bene».
Lo comprende che la situazione – dalla pandemia al caro bollette – non consente agli italiani e ai molisani di fare differenza tra i partiti? La politica, in occasione dell’elezione del tredicesimo Capo dello Stato, ha scritto una bruttissima pagina di storia.
«Diciamo che in passato sono state scritte anche pagine peggiori. È chiaro che il momento storico fa sì che la politica venga condannata senza appello. Ora bisognerà dare prova di saper risolvere i problemi dei cittadini, di non perdere il grande treno della transizione. Senza alibi, tanto il governo nazionale che quelli regionali dovranno mettersi al lavoro testa bassa, consapevoli che – giustamente – i cittadini sono sempre più intransigenti e non permetteranno loro altri errori. Bisogna far ripartire il Paese e farlo anche sostenendo le misure fortemente volute dal Movimento 5 stelle, penso al superbonus 110% o al salario minimo orario. Senza il sostegno ai nostri temi non ha senso continuare a fornire appoggio al governo Draghi».
Lo sa che Di Maio e Conte nemmeno hanno fatto una bella figura? Non si sono distinti come forse ci si aspetterebbe da chi dice di non essere come gli altri. Non è d’accordo?
«Ho visto lavorare Conte e Di Maio da vicino e sono convinto che, ciascuno secondo la propria sensibilità, si sono impegnati nel solo interesse degli italiani. A differenza di quanto ho visto fare agli altri capi politici. Il confronto con tutti i grandi elettori del Movimento è stato costante, ma era chiaro che non potessimo incaponirci su candidati di bandiera. L’elezione del Capo dello Stato è e deve essere condivisa: l’arbitro non lo sceglie la squadra più forte, altrimenti non sarebbe equo nelle sue decisioni. Certo, poi quando ti trovi ad un tavolo di concertazione con politici di lungo corso devi essere anche bravo a non scoprire le carte, a non cadere nei bluff, a non prestare loro il fianco. In queste trattative a carte coperte, un cortocircuito c’è stato nel Movimento, non lo nego, ma anche e in misura maggiore negli altri partiti. La differenza è che noi abbiamo puntato in alto, per poi convergere su Mattarella e trovarci d’accordo nel garantire agli italiani un Presidente che aveva dimostrato di saper stare al suo posto. Gli altri, se vogliamo, hanno dato prova di essere troppo concentrati sui giochi di forza interni, tanto da schiantarsi su candidature improbabili».
A cosa porteranno le frizioni all’interno del Movimento?
«Come ho già avuto modo di affermare in tempi non sospetti, siamo ancora una forza politica giovane. Dobbiamo continuare il nostro processo di maturazione, anche passando attraverso scontri duri, una dialettica aspra, purché sia sempre costruttiva. Le posso dire cosa immagino e auspico. Credo che sia giunto il momento per chiudere il percorso costituente, iniziato con difficoltà a causa della pandemia. Il Movimento dovrà munirsi di organismi collegiali, tanto per le difficili scelte di politica nazionale, che per raccogliere le istanze dai territori. Dovremo anche trovare la giusta via di mezzo tra il decisionismo dei leader e la decisione a maggioranza. In caso di trattative con altre forze politiche, ad esempio, non sempre hai il tempo di lanciare un sondaggio tra tutti gli iscritti ed è dunque necessario saper delegare ad una persona. E fidarsi di lei, salvo poi chiederle conto di eventuali decisioni sbagliate. Ma quando si tratta di decisioni prese dal basso, tra tutti gli iscritti, si deve raggiungere la maturità di accettare anche decisioni diverse da quelle che auspicavamo. È la democrazia, altra cosa è il plebiscito».
Lei – e non risponda in politichese – da che parte sta: con Di Maio o con Conte?
«Sto con il Movimento 5 stelle e con la grande comunità che è composta da tanti cittadini che hanno fatto sognare il Paese. Le confermo che nei giorni scorsi ci sono state delle riunioni tra i vertici del Movimento. Il dialogo è ancora in corso e non volano “coltelli”. Ma voglio ribadire con forza un concetto: tra Di Maio e Conte rispondo Movimento 5 stelle. Io come tutti gli altri portavoce, che credono nello spirito che guida questo bellissimo sogno. Quanto a me, lo ribadisco: ho sempre e solo lavorato per il Movimento, né per Conte né per Di Maio. Certo, da un punto di vista anche umano, sarei un ingrato se non provassi della sincera riconoscenza per Luigi. Ci ha dimostrato sempre attenzione e c’è sempre stato quando abbiamo avuto bisogno di lui. E trovo sinceramente ingiustificabile tutto l’odio che, a fasi alterne, qualche sedicente “purista” gli ha scaricato sulla rete. Di Maio è una persona a cui dobbiamo dire solo “grazie”, tanto per dirne una perché è stato uno dei principali protagonisti di quel 33% di consensi raggiunto nel 2018. Ma in politica, troppo spesso, la mancanza di memoria è un germe malato e diffuso. E, a volte, ci fa scoprire la vera natura di persone che si paventano come nuove, ma nuove non sono. Dovremmo imparare a coltivare i talenti e Luigi, secondo me, lo è. Il suo percorso è iniziato e proseguirà nel Movimento, in ogni forza politica possono esserci differenze di vedute e queste vanno rispettate».
Di Maio si è dimesso da garante.
«Luigi dimostra ancora una volta grande maturità: vuole arrivare al confronto con Conte senza ricoprire ruoli di garanzia. Mi sembra un atteggiamento iconico, magistrale, da persona molto matura, umanamente e politicamente».
Questa condizione di insicurezza peserà sulle trattative per le regionali del 2023?
«Non vedo il perché sinceramente. I partiti sono organismi vivi, la dialettica interna è sacrosanta e sarebbe strano il contrario. Ho sempre diffidato dai “partiti-azienda”, come li chiamano i politologi bravi. Le regionali sono un fatto locale, i cittadini hanno il diritto di ricevere un’offerta politica diversa rispetto a quella che, con qualche cambio di casacca, hanno subito negli ultimi decenni. Chi vuole contribuire a scriverla è benvenuto, purché non abbia “padroni” a cui rendere conto diversi dai cittadini molisani. Ma ai molisani interessa conoscere delle idee concrete per risolvere i loro problemi, dalla sanità ai trasporti, dall’ambiente al lavoro. Cosa avviene all’interno delle segreterie di partito è rumore di fondo».
Letta (Pd) invoca il “campo largo”. In Molise? Poniamo l’ipotesi che Roma decida – perché nelle elezioni regionali Roma mette sempre il naso – per il campo largo, come la mettiamo? Greco-Renzi, ad esempio, non le suona male?
«Partiamo dall’ultima domanda, che ci aiuta a fare chiarezza, come piace a me. Greco-Renzi non mi suona male, ma malissimo. E non c’è modo di farmelo piacere, non sono il tipo che tradisce la fiducia dei propri elettori, non succederà mai. Lo dico una volta per tutte: è fuori discussione. Anche perché oggi in Molise Italia Viva è vicina ad Aldo Patriciello, quindi significherebbe dire Andrea Greco alleato di Patriciello e questo sì che suonerebbe davvero molto male.
Quanto al “campo largo”, è un po’ quello che tutti vorrebbero ed è il motivo per cui il mio nome pesa come un macigno, non ci giriamo intorno. Perché sul mio nome c’è un niet totale ad Aldo Patriciello. Tradotto: io non permetterei mai un campo largo o, peggio, larghissimo. Una certa forma di intransigenza, in politica, credo sia un valore. E, in questo caso, la mia intransigenza è soprattutto nei confronti di chi fa l’imprenditore nella sanità privata, ma vuole dettare le regole della politica, che poi è chiamata a governare la sanità pubblica. Questo spiega perché, per quanto mi riguarda, non c’è margine di trattativa su quel “campo largo”, sono piuttosto pronto a correre da solo».
C’è chi spinge per una donna alla presidenza della Regione. Circolano i nomi di Micaela Fanelli e Tecla Boccardo.
«La scelta uomo-donna non mi appassiona, non può essere quello il metro di giudizio, quanto piuttosto l’aver dimostrato di stare dalla parte dei cittadini, in primis nella difesa della sanità pubblica.
Sono convinto che il Movimento 5 stelle meriti la possibilità di governare e di giocare la partita da protagonista. Certo, alla Fanelli riconosco intelligenza politica, ma non credo che i molisani abbiano già del tutto dimenticato l’esperienza del governo Frattura. Per quanto riguarda la Boccardo, l’ho apprezzata come sindacalista ma non ne conosco le doti politiche. E per me, non me ne voglia, questo è un aspetto dirimente, in quanto il Molise ha già sperimentato le candidature provenienti dalla società civile. La linea politica dei candidati dev’essere chiara e riconoscibile».
Non ci giriamo intorno, lei vuole candidarsi alla presidenza. Ma il suo nome “passa”?
«A quanto pare, almeno in questa fase, non passa nessun nome. Eppure una soluzione va trovata. Io credo che c’è un dato che parla a favore di un candidato del Movimento 5 stelle: il 38,5% dei voti raggiunto con un’unica lista contro, se non erro, 14 liste tra centrodestra e centrosinistra. Che si chiami o meno Greco non è l’aspetto più importante. In Molise non è semplice per il Pd scrollarsi di dosso l’eredità che si porta dietro, almeno se ha davvero intenzione di governare operando delle scelte diverse rispetto alla vecchia amministrazione di cui facevano parte. Un cambio di passo è necessario, anche da parte loro, soprattutto su temi come la sanità».
In maniera più diretta: Andrea Greco è in grado di dare un contributo in una squadra, a prescindere dal ruolo?
«Ribadisco: se si decidesse di conservare lo status quo proponendo un cambiamento finto, di facciata, sarei pronto a correre anche da solo, circondandomi solo di chi ha davvero voglia di condurre una battaglia storica. Per quanto mi riguarda, io sono pronto a dare il mio umile contributo per una vera e decisa svolta della politica regionale. Come, se da “centravanti” o da “mediano”, si vedrà insieme ai miei colleghi. Bisognerà impegnarsi ancora tanto per rompere gli schemi e restituire ai cittadini quei servizi negati, spezzando le catene di un’imprenditoria che, con equilibri distorti, impone le sue istanze alla politica».
Aggiro l’ostacolo: cosa è disposto a cedere? E se cede, a che condizioni?
«Non è Greco il problema, bensì la linea, la visione politica del Molise che sarà. Non ho condizioni da porre e non cerco la gloria personale, né qualcosa da ricevere in cambio. Cerco riscatto per la mia terra, ho lottato tanto in questi anni, certo ho fatto errori, ma sempre cercando di dare il massimo e onorando il mandato, ogni giorno. La condizione è una sola: non si arretra di fronte ai diritti dei molisani, l’interesse di tutti deve prevalere su quello di pochi. Dalla sanità al lavoro, passando per la tutela ambientale e i trasporti pubblici. Su questo non si può cedere e non esistono condizioni».
Facciamo così, domanda definitiva: chi sarà il candidato della coalizione di centrosinistra di cui probabilmente il Movimento farà parte?
«L’espressione “centrosinistra” è superata, parlerei di fronte progressista. Io ho iniziato a fare politica nel Movimento 5 stelle e sono un post ideologico per natura. Detto ciò direttore, lei è un attento osservatore e sa benissimo come funziona. Del resto, abbiamo appena avuto una dimostrazione – con l’elezione del Presidente della Repubblica – della regola tacita della politica: fare i nomi anzitempo serve solo a “bruciarli”. Staremo a vedere. Io posso solo garantirle che non scenderò a compromessi al ribasso e che starò lì a tutela degli interessi dei molisani. La partita è ancora tutta da giocare, ma io la condurrò sempre senza bluffare, con la massima sincerità e trasparenza nei confronti dei cittadini».
luca colella