Analisi del voto delle regionali a bocce ferme, il Comune di Campobasso, i prossimi appuntamenti elettorali, Roberti e il governo Meloni. Ne parla Roberto Gravina, già sindaco del capoluogo, candidato a capo del campo largo, consigliere d’opposizione di Palazzo D’Aimmo.
Tante analisi ma forse affrettate ed elaborate a poca distanza dal voto. Sono trascorsi più di tre mesi dalle elezioni regionali. Cosa è accaduto e, soprattutto, come giustifica il divario così elevato tra il centrodestra, che usciva da cinque anni disastrosi (anche per fattori esterni e imprevedibili come il Covid) e il centrosinistra da lei “guidato”?
«Nell’immediatezza del risultato dissi che evidentemente l’elettorato aveva apprezzato anche gli ultimi anni di governo regionale e non ero ovviamente ironico né sarcastico. Oggi posso dire che una parte dell’elettorato più disinteressato, nel senso proprio del termine, ha scelto di non votare e quello che avrebbe voluto esprimere un voto più libero ha dovuto assecondare i legami amicali, familiari. In parole povere, liste molto forti nel centrodestra hanno vincolato molto il voto, sulla falsariga di quanto accade con le elezioni amministrative. Del resto, questa martoriata regione è stata amministrata così, come una città di medie dimensioni, dove i ruoli di qualcuno permettono di veicolare il consenso in modo facile, soprattutto laddove parliamo di un territorio molto povero, dove il potere riesce ad essere penetrante un po’ in tutti gli ambiti. Il metodo osservato anche in queste elezioni regionali è stato candidamente “spiegato” dall’onorevole Patriciello, in un’intervista al Fatto Quotidiano, rilasciata il venerdì prima del voto, che già fotografava bene quanto sarebbe accaduto».
Quindi, sembra di capire, che non c’è futuro per partiti e movimenti diversi da quelli che governano.
«Sembra di capire che questa regione ha espresso ed esprime una classe politica di governo che appartiene ad un dato mondo, sicuramente di centrodestra ma nulla a che vedere con una ideologia vera di centrodestra. Non vedo politiche liberali, giusto per citare un macro-tema, ma politiche di altra natura. Del resto, si mira all’autoconservazione».
Con il presidente Roberti come va? Che tipo di rapporto avete instaurato? Sembra molto disponibile a recepire le istanze nell’interesse del bene comune.
«Un rapporto che ha avuto, almeno finora, pochi contatti perché poche le occasioni reali di incontro. Di Consigli regionali se ne contano praticamente due. Il rispetto l’ho avuto anche in campagna elettorale, continuo ad averlo ora e mi auguro che si continui su questa strada. Per il resto non sono uno che telefona per chiedere cose, perché rispetto molto i ruoli».
Nella formazione della giunta ha avuto coraggio: fuori gli assessori uscenti. Non era proprio scontato.
«Scontato no, ma forse obbligato. L’immagine conta così come le dinamiche dei partiti. Aveva anche lui degli “obblighi” da rispettare».
E con i colleghi di opposizione? C’è intesa?
«Credo di sì, nel senso che finora ho cercato e stiamo cercando di condividere le azioni».
A proposito di “colleghi”, ma il coordinatore del Movimento è sempre Antonio Federico? Sembra sparito dopo le elezioni. Lei lo sente? È attivo? Le risulta stia lavorando ai prossimi appuntamenti elettorali?
«Certo che lo sento. La prego, non confini sempre il tutto in un rapporto di amicizia, perché così non è, nel senso che sono due mondi diversi e lei lo sa bene. Sta lavorando per i prossimi appuntamenti, questo sicuramente».
Le “manca” il Comune di Campobasso?
«Certo che sì ma so che la vita è fatta di cambiamenti. Magari i programmi erano diversi ma l’imprevedibilità degli eventi spesso li scompagina. So il lavoro che è stato fatto in questi anni e so che Campobasso ha fatto i “compiti a casa” come ho già avuto modo di dire nella conferenza stampa di saluto».
Ha rimpianti rispetto al periodo trascorso alla guida di Palazzo San Giorgio? Qualcosa che non rifarebbe? O che non ha fatto e avrebbe voluto fare?
«Sicuramente qualche passaggio ulteriore nell’organizzazione degli uffici. I tempi erano maturi e avevo già le idee chiare in proposito. Qualcos’altro c’è ma non lo condivido qui, non me ne voglia (sorride, ndr)».
Progetti faraonici e che probabilmente tra qualche decennio cambieranno il volto della città (sempre che qualcuno sarà in grado di portarli a termine). Nelle piccole cose, però, non è cambiato granché rispetto al passato. Un problema su tutti: la manutenzione stradale. Non sarebbe stato meglio un Cis meno “faraonico” e con qualche centinaio di migliaia di euro sistemava la viabilità? E non parli di fondi vincolati e predestinati perché, lo sa, i cittadini non lo comprendono. O meglio, non lo concepiscono.
«Guardi, era ed è un mio assillo ma comprendo che non sempre è facile spiegarlo. Ci provo anche qui dopo averlo detto in tutte le salse in Consiglio comunale, quando qualche consigliere di lungo corso ha tentato di dimenticare il suo passato e con esso le scelte prese.
I progetti di cui parla sono tutti vincolati alla realizzazione di alcune opere. Le strade, i marciapiedi e altre attività “ordinarie” devono trovare spazio all’interno del bilancio comunale o di quello regionale (quando la Regione lo fa). Questo significa che, se il Comune non produce ricchezza, difficilmente riuscirai ad avere gli spazi di manovra. E negli anni, complice il taglio delle risorse regionali e scelte dettate da tornaconti politici legati a progetti di finanza, hanno fortemente impoverito il patrimonio comunale e con esso la possibilità di avere nuove entrate. Con questo ragionamento si sono fatte scelte politiche diverse, che nei prossimi anni – già sta accadendo, per la verità – miglioreranno gli indici finanziari e dunque la possibilità di operare nella manutenzione di strade e marciapiedi, così come dell’arredo urbano e tanto altro. Ma la prego, lei dirige l’unico cartaceo regionale e dunque ha una grande responsabilità: trasmettere al lettore informazioni utili a capire che a volte le difficoltà esistono, sia perché oggettive (e torniamo ai fondi vincolati citati in premessa), sia perché figlie di scelte del passato (per me assai discutibili e per questo non ripetute)».
Tra qualche mese si vota per il rinnovo del Consiglio comunale. Il centrodestra sembra aver già vinto. Impossibile, almeno guardando tra gli eletti in Municipio, bissare l’esperienza della regione: Pd e 5 stelle peggio di cani e gatti.
«Resta per me l’unica strada percorribile. Le divisioni restano pericolose e questo il centrodestra lo sa bene e spera nella divisione per avere la vittoria facile. Credo si possa immaginare un altro epilogo ma bisogna essere consapevoli che a crederci si è sempre in due. Se una parte del centrosinistra continua imperitura a fare la “guerra”, risulta difficile che si possa andare avanti insieme. Che poi qualcuno anteponga il proprio livore personale alla politica di alleanza, questo è un problema diverso, che ovviamente difficilmente si può superare. Ma non compete a me, dovrebbe chiederlo ad altri».
Quale potrebbe essere la formula per provare a limitare i danni o, addirittura, vincere le comunali?
«Un’alleanza che fissi bene il programma e che dia continuità all’azione amministrativa di questa consiliatura, che in fatto di programma, detto tra me e lei, ha scritto una pagina davvero nuova per la nostra città, con buona pace dei pessimisti».
Non crede di aver avuto l’autorità e la possibilità, da sindaco, di stemperare un po’ gli animi? Perché non lo ha fatto?
«E chi le ha detto che non l’ho fatto? Mi creda, se siamo arrivati sin qui, con tutti i miei limiti e le mie mancanze, qualcosa e più di qualcosa è stato fatto. Ribadisco, contro il livore personale, però, non c’è azione che tenga, otterrai sempre e soltanto “avversione e cattiveria”».
In questi tre mesi a Palazzo D’Aimmo ha certamente approfondito la conoscenza dell’istituzione. Parlando di numeri, soldi, bilancio, quante possibilità ha il Molise di evitare di essere accorpato ad un’altra Regione?
«Poche, molto poche. L’ho detto in campagna elettorale: per come si è lavorato in questi anni – non solo gli ultimi cinque ma forse gli ultimi 25 – non abbiamo meritato l’autonomia e non vedo sinceramente, anche in questi primi mesi, alcuna volontà di rivoluzionare il bilancio, a partire dalle spese».
Se dovesse scegliere lei, preferirebbe l’Abruzzo, la Puglia o la Campania?
«Sicuramente l’Abruzzo, senza nulla togliere agli altri territori. Non soltanto per la storia ma anche per similitudine dei problemi e dei luoghi».
Se potesse tornare indietro accetterebbe di nuovo la candidatura a capo del campo largo?
«Sì ma con una gestazione assai diversa, senza defaticanti tavoli».
Un giudizio sul governo Meloni?
«Quando costruisci il consenso su basi molto popolari parlando di benzina e accise, di migranti e blocchi navali, di bonus 110 (che per carità, andava corretto ma non eliminato) e praticamente fai il contrario o non fai, il giudizio è nelle cose e quindi deludente ma ovviamente sono di parte e questo mi aspettavo. Se poi facciamo una analisi più attenta, credo che per ora si sia fatto e si potrà esprimere un giudizio non appena si vedrà la nuova manovra finanziaria: sarà il primo vero bilancio del governo Meloni».
“Giorgia” e i suoi hanno vinto a furor di popolo. E nei sondaggi la coalizione di centrodestra tiene.
«Vero. Come dicevo, si entrerà nel vivo di questo governo con la prossima manovra finanziaria, che con i nuovi vincoli di finanza pubblica, mostrerà bene su cosa ci si intende concentrare per far quadrare i conti. Ne riparliamo in primavera, insomma».
Il governo arriverà a fine legislatura?
«Presto per dirlo ma non ci scommetterei. Intanto aspettiamo l’esito delle europee e delle amministrative, poi si vedrà quanto la spinta “nordista” inciderà sul resto, peraltro senza la figura di Berlusconi».
Luca Colella