Ad avere lo stesso problema sono in 1.800 in Molise. Cinquanta lavoratori – che non hanno più un’occupazione e aspettano di percepire la mobilità in deroga maturata – sono pronti alla class action contro la Regione.
Si sono rivolti agli avvocati Silvio Tolesino e Luca Marcari e sono partiti con una diffida giunta in questi giorni agli indirizzi Pec di Regione e Inps. Chiedono di revocare in autotutela parte del contenuto di una delibera di giunta del 30 dicembre scorso che, a loro parere, sottrae ad una dotazione complessiva una tranche di fondi stanziati dal governo nazionale per pagare gli ammortizzatori in deroga per destinarla al piano di politiche attive per l’area di crisi complessa. Motivo per cui chi ha diritto alla mobilità non l’ha percepita. Un tema che è stato affrontato in questo modo già in sede politica dall’ex assessore al Lavoro Michele Petraroia. E che ora potrebbe finire addirittura in tribunale. Perché la diffida e messa in mora avrà questo esito, avvertono gli interessati nelle lettere inviate a Palazzo Vitale, se non ci sarà riscontro.
Il giorno dopo la pubblicazione della notizia su Primo Piano Molise, l’assessore allo Sviluppo Carlo Veneziale – che segue anche le politiche occupazionali dopo le dimissioni di Petraroia dall’esecutivo – chiarisce che, intanto, la questione «è stata già oggetto di un’interrogazione del collega Petraroia alla quale abbiamo dato una risposta dettagliata». Aggiunge, poi, che i numeri non sono quelli indicati nella diffida dagli avvocati dei lavoratori. In particolare, a disposizione non c’erano 52 milioni di euro per la mobilità in deroga bensì – spiega Veneziale – la metà. Dunque, 26 milioni. Di questi, inoltre, una parte consistente era stata utilizzata «sempre per quella platea» di aventi diritto: in parte per garantire loro il pagamento dell’indennità fino a maggio 2015 e in parte per tenere indenni quei lavoratori dal rischio di dover restituire quanto già percepito. Un rischio, sottolinea l’assessore, che per motivi tecnici era piuttosto concreto.
Comunque, conclude Carlo Veneziale, «il tempo di approfondire i contenuti della diffida, i punti su cui è basata, e potremo fornire una risposta più puntuale sulla questione». r.i.