«Riempiamo di contenuti il Recovery plan, diamo gambe e futuro agli stanziamenti previsti per una nuova sanità pubblica dei cittadini e dei medici». È l’appello lanciato al ministro Speranza da Ernesto La Vecchia, segretario regionale della Federazione italiana sindacale medici uniti (affiliata Cisl Medici) che guarda con preoccupazione al potenziamento del territorio con le case di comunità.
«È difficile comprendere – dice – come le ipotesi di riforma contenute nel punto 6 del Piano nazionale di rilancio e resilienza si possano poi concretizzare davvero, a partire dalle annunciate 1288 case di comunità. Cosa sono e chi dovrebbe operare in queste struttura? Come si interfacciano con le leggi vigenti a partire dalla Balduzzi, ma soprattutto con la capillare offerte di cure primarie, che si dice di voler potenziate, cioè con gli ambulatori di medicina generale e con le già esistenti (e funzionanti con successo) medicine di gruppo come le unità di cure primarie?» Il rischio è che rimangano gusci vuoti o addirittura cattedrali nel deserto. E allora, contro quello che definisce un festival di formule e slogan, il segretario La Vecchia rilancia la proposta sul Recovery presentata dal suo sindacato in audizione in Commissione: ospedali di eccellenza (si va in ospedale solo per casi gravi) e più territorio, più struttura intermedie con diagnostica e socio-assistenziale (per fragili e cronici), più medici e più personale, zero precariato, fascicolo elettronico e telemedicina, continuità assistenziale h24, medicina capillare, domiciliare e di prossimità, piano straordinario di edilizia sanitaria, riorganizzazione del 118 per una rete nazionale del’emergenza–urgenza. E sul piano normativo: contratto unico, ruolo e accesso unico per i medici; ma anche riforma della formazione specifica e della specializzazione. Con queste direttrici e premesse si può partire».