Testa, cuore, forza, tanto coraggio e altrettanto amore. Da un anno, ininterrottamente. Ogni giorno. Sabati, domeniche e festivi compresi.
Era il 27 dicembre 2020, quando la dottoressa Antonietta Licianci e i ‘suoi’ Monia Carosella, Milena Persichilli, Angelina Barrea e Emiliano Coromano inocularono la prima dose di Pfizer nel centro vaccinale allestito all’interno dell’ospedale Cardarelli di Campobasso. Da quel giorno è stato un continuo, senza nemmeno il tempo di riprendere fiato.
Dieci, 12, anche 14 ore di fila. E il giorno successivo – come se fosse il primo – di nuovo schiena dritta e testa bassa. Senza ferie, né riposi: Campobasso, i paesi dell’hinterland, il Molise, vanno protetti dal virus. Per riposare ci sarà tempo, forse.
Sempre con il sorriso stampato sul volto, mai un consiglio negato, sempre con lo spirito di chi rende un servizio al Paese e lo fa senza dare nulla per scontato.
L’allora premier Conte chiedeva di vaccinare, e loro vaccinavano. Poi è arrivato il generale Figliuolo che ha chiesto di accelerare, e loro hanno accelerato. Senza battere ciglio, senza lamentarsi, senza chiedere nulla in cambio. D’altronde, chi sceglie di indossare un camice sa che la sua vita sarà sempre e solo al servizio degli altri. Prima della famiglia, prima degli affetti. Anche prima dei figli, che sono il bene più prezioso.
Lo fai perché senti che devi farlo, perché sai che è la cosa giusta. Lo fai perché sei consapevole che chi è là fuori conta su di te, sa che la sua salute, il suo futuro sono nelle tue mani.
La volontà, la voglia, il coraggio, la determinazione delle donne e degli uomini del centro vaccinale del Cardarelli è contagiosa: hanno reclutato medici, specialisti, allergologi, rianimatori. Infermieri. Volontari che aiutano a tenere in ordine la fila, che danno una mano a compilare le schede, a inserire i dati che poi vengono inviati al Ministero per il rilascio del green pass.
Hanno trasmesso voglia di mettersi a disposizione, di dare una mano, di contribuire alla causa, di rendere un servizio gratuito come, d’altronde, stanno facendo loro. Perché – e va ribadito con forza – gli operatori che lavorano negli ambulatori vaccinali non percepiscono un solo euro in più oltre lo stipendio (se sono dipendenti Asrem, altrimenti la prestazione – anche quella di medici e infermieri – è totalmente volontaria e gratuita). A volerla dire tutta ci rimettono anche qualcosa. Sì, perché le ore di straordinario non vengono retribuite e il turno, per quanto devastante, non prevede indennità aggiuntiva. Ma poco conta: lo scopo è nobile, i vaccini sono l’unica arma che indebolisce il virus, lo porta, in caso di contagio, a livello di un malanno di stagione.
I numeri si possono commentare, certo. Ma discuterli è difficile: l’anno scorso nelle corsie del Cardarelli erano stati allestiti tre reparti di Malattie infettive su più piani, i degenti erano 65. Oggi i ricoverati, nonostante i numerosi contagi, sono 19. Benché il virus sia mutato e in alcune varianti diventato anche più aggressivo.
Quante volte politici e amministratori hanno vantato l’alta percentuale di immunizzati in Molise, «tra le più alte d’Italia», «la più alta in assoluto per terze dosi». Un risultato straordinario che va ascritto ai centri vaccinali, al centro vaccinale del Cardarelli che ha raggiunto la soglia delle 90mila inoculazioni in un anno, di cui circa 20mila booster. Chepeau!
Capita talvolta di presentarsi il giorno stabilito e all’orario fissato per ricevere la dose bisogna attendere. Anche per ore. È successo e accadrà ancora. Al Cardarelli accade probabilmente più spesso di altrove.
Perché? Perché gli operatori non si fanno guidare dalle “regole”, ma dal cuore e dalla ragione: il vaccino ha la priorità. E allora se un anziano ha sbagliato la prenotazione o ha sbagliato il giorno per l’inoculazione non può essere mandato a casa. Non deve essere mandato a casa, va vaccinato. Se arriva una persona che ancora non fa la prima dose e non ha prenotato, è titubante, ha paura, va vaccinata, subito! Senza perdere nemmeno un secondo: basta un istante, un minimo di insicurezza, una parola sbagliata per mandare in frantumi quel briciolo di convinzione.
Ecco, se ci capita di dover aspettare, guardiamo oltre la fila. Meditiamo sulle famiglie di chi trascorre 12 ore al giorno in quei box dove viene inoculato il vaccino. In quelle famiglie sono saltati tutti gli schemi. Non si pranza e non si cena insieme, non si esce per il cinema, il teatro, la partita, lo shopping. Non si va al ristorante né al bar. Il parrucchiere è diventato un lusso. Non si passeggia e si declinano gli inviti. Non si dedica il tempo necessario ai figli, alle fidanzate, ai mariti e alle mogli. Ah, non ci si può nemmeno ammalare, considerata l’endemica carenza di personale sanitario.
In un mondo giusto, Antonietta, Monia, Milena, Michelina e Emiliano, i medici, gli infermieri e tutti coloro che lavorano nei centri vaccinali del Molise e di ogni luogo andrebbero premiati con una statua a perenne memoria. Insieme a chi il virus lo sta combattendo nelle corsie.
Nella consapevolezza che la statua non gliela realizzerà nessuno e nella certezza che i meriti andranno sempre ascritti a chi è seduto sulle comode poltrone dorate dei piani alti, a queste donne e a questi uomini esprimiamo infinita gratitudine. E con la voce rotta dall’emozione diciamo grazie: siate certi che tutte le persone di buonsenso vi saranno riconoscenti a vita.
Siete l’orgoglio e la parte più bella del Molise.
Grazie, grazie davvero.
luca colella