«Non c’è nessuna guerra fra Toma, Papa e la sanità privata. Ma fissare i tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni dalle strutture convenzionate è un obbligo di legge». Il commissario aggiunge pure, subito, che il budget è uno dei compiti che il governo gli ha affidato col decreto di nomina. «Se quei compiti non vengono realizzati il commissario viene rimosso».
Terreno scivoloso, quello del rapporto fra Palazzo Vitale e le cliniche. Anche perché regolato da norme nazionali che sono più stringenti per le Regioni indebitate, in piano di rientro e commissariate, come il Molise (che sta rimanendo da solo in questa non lodevole condizione), e perché il ricorso alla magistratura e alle differenti giurisdizioni (amministrativa, civile e contabile) non aiuta a chiarire il quadro. I verdetti spesso sembrano contraddittori: il Consiglio di Stato dà ragione ai convenzionati e stabilisce che l’extrabudget va pagato, la Corte dei Conti (nel caso di specie quella della Calabria) è di altro avviso (anche perché tutela interessi differenti) e chiede la restituzione dei soldi anche ai privati per il danno erariale causato con il debito sanitario.
Donato Toma, in una conferenza stampa convocata prima che il Tar Molise sospendesse in parte (una parte sostanziale per il Gemelli che vi si era rivolto) il suo decreto sui tetti di spesa e il blocco dei pagamenti disposto perché i privati non hanno firmato i contratti, riassume quindi una matassa assai ingarbugliata.
Intanto respinge l’idea che il presidente del Tribunale amministrativo gli abbia dato torto. «Ha stabilito con una procedura d’urgenza che le prestazioni indifferibili vanno comunque rese. Bene, lo avevo spiegato anche io nelle interviste che ho rilasciato in questi giorni». Le strutture dicono che il budget assegnato a fine ottobre per l’anno in corso è già esaurito. «Con l’autorizzazione provvisoria che si fa a gennaio hanno il via libera per il 95% di quanto fatturato nell’anno precedente, quindi non è vero che non conoscevano il tetto prima del nostro decreto», rimarca il sub commissario Giacomo Papa.
Il fatto però è che la coperta è sempre più corta. Da Roma arrivano 600 milioni all’anno. Cento vengono stanziati per i privati e oltre questo limite, spiega ancora Papa, non si può andare in base a un provvedimento del governo Monti. Gli altri vengono usati dall’Asrem per i servizi sanitari pubblici, con il risultato – non manca di riferire Toma – di 60 milioni di disavanzo.
Un ruolo importante, nella programmazione delle risorse, ce l’ha il fabbisogno. «Quando questa estate il Gemelli ci ha comunicato di avere quasi esaurito il budget per la radioterapia – prosegue Toma – abbiamo chiesto all’Agenas di calcolare il fabbisogno per quella prestazione. Avevamo registrato delle incongruenze e anche il tavolo tecnico ha rilevato che negli ultimi tre anni la produzione per quella branca era aumentata. L’Agenas proprio in questi giorni ci ha inviato la relazione, sostiene che il fabbisogno sia di 2,7 milioni all’anno per 700 pazienti. Noi abbiamo pagato cifre notevolmente superiori». Più di 4 milioni, lo soccorre con i numeri Papa. Una comunicazione non proprio ‘ordinaria’, i cronisti quindi partono con le domande. «È una situazione in fase di accertamento, quando sapremo chi ha sbagliato (se Agenas o Gemelli, ndr) notificheremo tutto agli organi di controllo». Le strutture commissariali precedenti non avevano effettuato questo tipo di verifiche, va avanti, e non è stato semplice venirne a capo anche perché i privati non sono ancora entrati nel Cup unico. «Abbiamo costituito anche il Noc, che pure ha eseguito i controlli, composto da esperti dell’Asrem. E abbiamo chiesto al ministro una task force per estendere questa azione». Anche al pubblico, conferma, dove le sacche di inefficienza evidentemente pesano per 60 milioni l’anno (la cifra del deficit dichiarata dallo stesso Toma).
Fin qui parliamo del budget, poi c’è la partita dell’extra, tutto ciò che i privati producono in più rispetto al tetto fissato in particolare per i pazienti non molisani. Una partita di giro, perché dopo due anni quei soldi rientrano dalle Regioni di provenienza (come allo stesso tempo il Molise paga la sua mobilità passiva per i residenti che vanno a curarsi fuori) ma il tavolo tecnico lo vieta espressamente perché intacca la quota di fondo sanitario assegnato alle singole amministrazioni. Per il 2019 è stato pagato, precisa Toma, perché l’ex commissario Giustini varò il decreto a febbraio del 2020 e cambiò le regole del gioco a partita finita, stabilendo l’invalicabilità di un tetto di spesa esaurito e superato già da due mesi. Ma al di fuori da questa ipotesi, ribadiscono sia Toma sia Papa, non si può autorizzare i privati a sforare. Anche perché la magistratura contabile non ‘perdona’. «Ci sono controlli in corso sulle transazioni effettuate», dice il presidente della giunta riferendosi a quelle firmate da Gemelli e Neuromed con il suo predecessore Frattura (il riferimento è una ricostruzione giornalistica ma quelle sono le sole transazioni della storia recente su cui quindi la Corte dei Conti può ancora dire la sua).
Il commissario Toma non può che applicare la legge. «È un vigile urbano – dice di se stesso – che eleva una multa per divieto di sosta. Prendersela con lui non servirà a cambiare le cose». Il presidente della Regione invece ha già chiesto un incontro col governo Meloni, ed è in attesa di essere convocato, per discutere della «condizione speciale» della sanità molisana. Ne ha poi parlato, riferisce, con i ministri Schillaci e Calderoli. La richiesta è di avere più risorse e regole diverse, per esempio ampliando l’ambito della sanità regionale perché le «strutture d’eccellenza dovrebbero operare con bacini molto più ampi». Un maggiore margine di manovra che consentirebbe di rasserenare il clima e, magari, mettere mano agli ospedali pubblici. Che oggettivamente sono ai minimi termini.
ritai