Una ricerca condotta dalle Unità operative di Fisica sanitaria e Radioterapia oncologica della Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso ha riportato significativi risultati nell’ambito della ottimizzazione dei trattamenti radioterapici avanzati per le metastasi extracraniche trattate mediante radiochirurgia.
Il lavoro scientifico che riporta la fattibilità di questa complessa strategia è stato pubblicato sulla rivista americana Medical Dosimetry.
«La radiochirurgia – afferma il dottor Savino Cilla, primo autore del lavoro e responsabile della Unità operativa di Fisica sanitaria – consiste nella erogazione in una singola applicazione di dosi molto alte per colpire e distruggere una o più metastasi in modo estremamente preciso. Lo stesso nome, radiochirurgia, fa capire che le radiazioni ionizzanti sono utilizzate come se fossero un “bisturi virtuale” per colpire le localizzazioni tumorali con precisione millimetrica. Lo scopo finale è quello di ridurre la metastasi a tessuto necrotico, arrestando la proliferazione delle cellule del tumore. Tuttavia, gli obiettivi di erogare una dose ablativa al tumore e una dose minima ai tessuti normali circostanti sono intrinsecamente in conflitto. Conflitti di questo genere si riscontrano in numerosi campi, soprattutto in economia. In economia politica questa condizione è la migliore situazione possibile in termini di efficienza allocativa e produttiva. In questa ricerca abbiamo dimostrato che il concetto di efficienza paretiana può essere utilizzato anche in radioterapia per ottimizzare i complessi trattamenti di radiochirurgia, fornendo una guida rigorosa e quantitativa alla pianificazione del miglior trattamento in termini di erogazione di altissime dosi alla lesione con simultanea riduzione della irradiazione dei tessuti sani».
«La nostra esperienza con la radiochirurgia è iniziata molti anni fa – afferma il dottor Francesco Deodato, responsabile della Unità Operativa di Radioterapia – e continua a perfezionarsi man mano che l’innovazione tecnologica ci consente di adoperare nuovi avanzati strumenti per la pianificazione del trattamento e nuove possibilità per l’erogazione della dose. Oggi utilizziamo questa metodica soprattutto nel trattamento dei tumori primitivi o metastatici del polmone e del fegato, di linfoadenopatie mediastiniche e addomino-pelviche e di lesioni ossee. Essendo utilizzata in un’unica seduta, questa terapia non interferisce con l’eventuale terapia sistemica effettuata dal paziente, permettendo di aggiungere al controllo sistemico della malattia metastatica anche quello locale. Da questo punto di vista, va sottolineato che nei pazienti finora trattati non sono stati osservati effetti negativi rilevanti. Al contrario – conclude Deodato -, nella maggioranza dei casi si è ottenuto il controllo della malattia nella sede trattata».