Nei giorni scorsi, si e tenuto a Praga il congresso mondiale di Fisica Medica e Ingegneria Biomedica. L’evento, che si tiene una volta ogni tre anni, è uno dei più grandi raduni di fisici medici e ingegneri biomedici da tutto il mondo per interagire e condividere idee, conoscenze, esperienze e risultati di ricerca della Fisica applicata alla medicina.
La Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso ha partecipato a questo importante congresso portando all’attenzione scientifica internazionale i risultati di un filone di ricerca attualmente attivo presso la struttura d’eccellenza molisana.
Autori del lavoro sono il dottor Savino Cilla, responsabile della Unità operativa di Fisica sanitaria, e la dottoressa Anna Ianiro.
«Da circa un decennio – spiega il dottor Savino Cilla – l’intelligenza artificiale sta emergendo come una tecnologia capace di trasformare radicalmente i processi di produzione industriale; i progressi in questo settore hanno infatti portato alcuni a parlare di quarta rivoluzione industriale. Anche in medicina, l’intelligenza artificiale sta emergendo come una forza propulsiva, soprattutto riguardo il suo utilizzo per le diagnosi e terapie dei tumori. Oggigiorno, grazie al cosiddetto machine learning, è possibile fornire ai sistemi di intelligenza artificiale una enorme quantità di dati e di algoritmi di classificazione per permettere alle macchine di prendere decisioni in base all’analisi di questo insieme di dati. Ad esempio, attualmente sono oltre 50 gli ospedali in tutto il mondo che usano il supercomputer Watson della Ibm, in grado di affiancare medici e oncologi per suggerire diagnosi e trattamenti più precisi per la cura dei tumori. Uno studio recente (pubblicato sulla rivista scientifica Neurology Genetics) ha messo a confronto il modo di pensare di un team di medici specialisti contro quello del super-computer Watson su diagnosi e trattamento di un probabile tumore al cervello per un paziente di 76 anni. I risultati della ricerca hanno indicato che l’intelligenza artificiale ha impiegato 10 minuti per riconoscere la tipologia di tumore, evidenziare le mutazioni alla base della sua formazione e poi proporre anche la più opportuna terapia (il team di medici ha impiegato 160 ore di lavoro). L’anno scorso in Cina, il giovane dottor Xiaoyi ha brillantemente superato l’esame di abilitazione all’esercizio della professione medica. Ma ciò che sorprende è che il Xiaoyi non è un medico in carne ed ossa ma un sistema di intelligenza artificiale: il primo medico non umano a possedere una autorizzazione ad effettuare diagnosi. Un’altra ricerca in corso riguarda il DeepMind di Google, in grado di elaborare centinaia di migliaia di informazioni mediche in pochi minuti grazie al machine learning. Per comprendere le potenzialità della intelligenza artificiale applicata in campo medico, ospedali inglesi stanno utilizzando DeepMind per migliorare la qualità della pianificazione della radioterapia ai pazienti. Attualmente gli oncologi radioterapisti devono creare una mappa delle parti del corpo da trattare e quelle sane da evitare, un processo detto “di segmentazione”, spesso lungo e laborioso. DeepMind sarà in breve tempo capace di apprendere il processo con cui i medici decidono quali parti trattare, identificare le aree di tessuto sano rispetto a quelle tumorali e segmentare le scansioni in modo automatico. Una criticità analoga – continua il dottor Savino Cilla – si ha nella progettazione fisico-dosimetrica del trattamento radiante, nella quale il fisico medico, utilizzando strumenti di calcolo avanzati basati su vari algoritmi, ha il compito di realizzare lo studio dosimetrico che al meglio risponde alle esigenze curative del trattamento. Questo è un compito estremamente complesso e impegnativo perché è problema multi-criteria, nel senso che gli obiettivi di trattamento sono molteplici e conflittuali. Non solo il tumore deve essere irradiato ad alte dosi, ma i tessuti circostanti sani dovrebbero essere evitati il più possibile. Per esempio, un caso di tumore testa-collo potrebbe avere 20 strutture da tenere in considerazione (tumore, midollo spinale, ghiandole salivari, ecc.). Il numero di criteri ottimizzati può anche essere maggiore, poiché spesso può essere coinvolto più di un criterio per struttura. In questo tipo di ottimizzazione è perciò necessario fare dei compromessi che dipendono dal know-how e dalla esperienza del fisico: alcune strutture sono più sensibili alle radiazioni di altre, e talvolta una struttura deve essere in parte sacrificata per mantenere altre strutture più funzionali (rispetto alla tossicità o alla qualità vita). Nonostante l’utilizzo di sofisticati software e algoritmi fisico-matematici, il calcolo della migliore distribuzione della dose risulta ancora da un processo iterativo di tipo try-and-error. Ma non vi è alcuna garanzia per un compromesso ottimale tra gli obiettivi, né è garantito che per la stessa dose al tumore, la somministrazione di dose ai tessuti sani più importanti non possa essere ulteriormente ridotta. In altre parole, se linee guida specifiche, che definiscono gli standard minimi per gli obiettivi di dose, possono migliorare la qualità dei trattamenti, esse tuttavia non guidano verso il piano ottimale per il paziente specifico perché i limiti di dose ottenibili per i vari organi non sono noti a priori. Per tutte queste ragioni molti sforzi si stanno compiendo da parte di alcuni gruppi di ricerca a livello internazionale per l’applicazione di strategie di intelligenza artificiale alla pianificazione del trattamento radioterapico. Nel nostro Centro di Campobasso stiamo valutando insieme ai colleghi oncologi radioterapisti, guidati dal dottor Francesco Deodato, un nuovo sistema di pianificazione del trattamento radioterapico basato sull’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale. Questo sistema si chiama Autoplanning ed è stato sviluppato nel modulo Pinnacle da Philips con lo scopo di fornire trattamenti radianti sempre più precisi e tecnologicamente avanzati. I risultati preliminari di questa attività di ricerca sono stati mostrati nel recente congresso di Praga – conclude il dottor Savino Cilla – e dimostrano che questa tecnologia ha il potenziale di fornire un prezioso contributo per la migliore cura del paziente. Questo sistema sta dimostrando, se opportunamente implementato e guidato, di essere in grado di imitare il processo decisionale di pianificazione di fisici medici esperti e di riuscire a produrre piani di trattamento di alta qualità anche nei casi più difficili. A causa dell’approccio sistematico, i risultati mostrano anche una minore varianza, eliminando in pratica la variabilità che si riscontra nelle pianificazioni di trattamento manuali dovute a diversi esperti o a diverse istituzioni. Questi nuovi algoritmi basati sulla intelligenza artificiale hanno davvero un enorme potenziale. Ovviamente essi non possono fornire il contributo creativo e relazionale che è proprio degli esseri umani, e dal mio punto di vista è la creatività umana alla base dei reali avanzamenti scientifici cosi come una macchina o un algoritmo non può entrare in contatto empatico ed emotivo con un paziente. Ma, se sapientemente utilizzati, essi costituiscono una ulteriore potente arma in grado di proporre trattamenti sempre più mirati e meno tossici, che sono diventati nel corso degli anni lo “standard of care” della nostra pratica clinica».