L’Asrem ha organizzato il loro trasporto in ambulanza fino a Capodichino. E da Napoli, alle 16.30, sono volati a casa.
Con il trasferimento organizzato dalla centrale di coordinamento soccorsi della Protezione civile nazionale (Cross), che si era occupata anche del loro arrivo in Molise a metà marzo, dopo oltre un mese i due 66enni di Bergamo curati nella terapia intensiva e poi a malattie infettive del Cardarelli tornano a casa guariti. Per loro, Covid-19 è solo un bruttissimo ricordo. Anzi, neanche quello.
Mario Minola, architetto, ricorda solo che i familiari lo accompagnarono al Pronto soccorso. Ore drammatiche, la città si era trasformata in un focolaio peggiore di Codogno. E gli ospedali esplodevano, non riuscivano a curare tutti i pazienti gravi, che avevano bisogno di rianimazione. Per questo, la Cross li destinò al Molise, che aveva a disposizione posti letto. L’architetto si è svegliato 30 giorni dopo. A Campobasso, città che non aveva mai visitato. Né ha potuto farlo adesso, ma ha promesso ai tanti nuovi amici che resterà in contatto con loro. «Mi son trovato qua e mi hanno detto ‘lei è guarito’, non sapevo neanche di cosa ero malato, dico la verità. E poi, è iniziata la rieducazione in questo reparto. Sono bravissimi – ha raccontato alle tv locali il giorno prima di essere dimesso – Sono felice di essere stato trasferito a Campobasso, perché ho dei fratelli medici, dei nipoti che fanno la fisioterapia e mi han detto “Mario, stai tranquillo che è un posto dove sono molto preparati”».
Perfettamente consapevole dell’inferno che ha passato, anche se non ne ha memoria. «Mi trovavo nel mondo dei morti e sono rinato. Come i bambini piccoli dovrò imparare a fare le cose più semplici, come la mia nipotina che a un anno ha cominciato a camminare a quattro zampe. E la stessa cosa farò io piano piano». L’architetto ha aggiunto: «Io sono un amante del Sud, mi piace il calore della gente, mi piace l’ospitalità e il senso che danno alla vita. Non è così da noi al Nord. Siamo molto ansiosi, sempre a correre dietro a qualcosa, ma a che cosa? Se prima o poi devi lasciare qui tutto. Adesso tornerò a casa, chiudo lo studio, lo lascio a mio figlio. Pago i miei quattro debiti e voglio vivere serenamente con mia moglie, con quel che il Signore ancora mi darà da campare. Perché è importante anche quello. Più importante però è essere riuscito ad uscire da questa difficile situazione, per merito dell’ospedale Cardarelli di Campobasso».
Guarito e ripartito insieme a lui, come insieme erano arrivati, Manco Villavicencio, coetaneo di Minola e bergamasco di origini peruviane. Dopo tre settimane di terapia intensiva, quasi altre tre al 5° piano nell’area riabilitazione di malattie infettive.
Il direttore generale dell’Asrem Oreste Florenzano, salutando «i nostri amici di Bergamo che tornano a casa» ha espresso «emozione e soddisfazione per il prezioso contributo che la nostra regione e la nostra sanità hanno potuto dare in questa emergenza nazionale. Un plauso ai nostri operatori sanitari che hanno permesso tutto questo». r.i.

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