«Con la ratifica in sede di Conferenza Stato-Regioni di oggi, ora possiamo dare il via alla fase operativa dell’accordo per l’esecuzione dei test rapidi di accertamento del Covid da parte dei medici di medicina generale e dei pediatri». Ne ha dato notizia il coordinatore dei governatori Stefano Bonaccini.
L’accordo per fare i test antigenici da medici di famiglia e pediatri di libera scelta è stato firmato il 28 ottobre. Ci sarà la disponibilità complessiva di «circa 50mila tamponi rapidi antigenici al giorno, da qui a fine dicembre, tra i pediatri di libera scelta e i medici di famiglia» ha spiegato il presidente della Federazione italiana medici pediatri Paolo Biasci. Così, rileva, «daremo un grandissimo contributo ai dipartimenti di prevenzione territoriali che stanno affogando subissati dalle richieste di test». L’intesa però ha sollevato un’ondata di critiche sia da parte dei sindacati che non hanno siglato l’accordo (pari al 35-50% degli iscritti), sia all’interno del sindacato che invece ha firmato, la Fimmg.
Le nuove disposizioni entrano nell’Accordo collettivo nazionale stralcio (il contratto di lavoro dei medici convenzionati), per quanto riguarda la parte economica sono previsti 18 euro al professionista per ogni tampone effettuato nel suo studio e 12 euro se il test viene somministrato in un’altra struttura. Il costo dei tamponi sarà a carico dello Stato. Ai medici di medicina generale verranno forniti i dispositivi di sicurezza da indossare ogni volta che entrerà in contatto con un caso sospetto di Covid. La fornitura è assicurata dal commissario per l’emergenza Covid-19, l’attività sarà svolta per il periodo dell’epidemia influenzale sul territorio nazionale. I cittadini avranno accesso al tampone rapido dal medico su prenotazione e previo triage telefonico. Le Regioni possono prevedere anche forme di adesione dei medici al servizio di esecuzione del tampone al domicilio del paziente.
Anche in Molise si registrano contrarietà o comunque perplessità fra i medici di base e i pediatri, per le strutture in cui effettuarli e perché dovrebbe esserci un minimo di formazione. Critica la Fismu: «Siamo il Paese delle montagne che partoriscono solo topolini. Invece di fare una campagna massiccia di prevenzione e test sul territorio con medici, strutture e personale ad hoc, si punta al titolo ad effetto per i giornali, marketing politico, ma di poco o nullo impatto per contenere l’epidemia. Secondo l’accordo, i medici di famiglia – spiega il segretario Ernesto La Vecchia – hanno un obbligo che oltretutto nei loro ambulatori non potranno rispettare perché insicuri e inadeguati. Ricordiamo che l’80% degli studi dei medici di famiglia è in questa situazione. Nelle realtà di medicina associata, Ucp e Casa della salute, era già previsto fare i tamponi, anzi già si stanno facendo». Nel merito, aggiunge, «stiamo parlando di uno/due tamponi di media al giorno da fare in ambulatorio o in una struttura pubblica. Sempre che le Regioni siano celeri a mettere a disposizione gli spazi per i test».

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