Andare per grazia e trovare giustizia. È quanto accaduto alla reiterata richiesta di utilizzare il Vietri come centro Covid.
Alla relazione del commissario Angelo Giustini, che il generale inviò al dg della Salute Andrea Urbani il 14 gennaio scorso dopo il sopralluogo compiuto al Cardarelli e in cui ribadiva la proposta di spostare il centro per la cura del virus a Larino, gli ispettori hanno risposto con quanto è già ampiamente noto – ospedale non è più e lo stesso commissario con due decreti ne ha sancito l’utilizzo per le cure territoriali – e con la raccomandazione di provvedere «tempestivamente a implementare il potenziamento dell’offerta programmata» al Vietri, in particolare le attività post Covid (ambulatori e riabilitazione, infermieri di comunità).
Non sono ‘andati’ affatto, né per grazia né per altro parafrasando il detto, i manager dell’Asrem, nel senso che la visita ispettiva del Ministero è stata disposta dopo la relazione del commissario della sanità. Però anche nel loro caso vale la parte finale dell’adagio.
Perché nelle cinque pagine firmate dal capo della Programmazione sanitaria, redatte sulla scorta delle considerazioni dei tecnici della sua direzione venuti in visita il 27 e 28 gennaio 2021, emerge un’analisi del contesto tutt’altro che positiva. In cui spicca la situazione del blocco operatorio al Veneziale: inadeguate condizioni igienico sanitarie, porte delle sale aperte durante l’intervento e due pazienti nel corridoio antistante mentre si stavano eseguendo due operazioni.
L’impressione è che la pandemia abbia lavorato in un primo momento da fermo immagine: la sanità molisana si blocca, e in quel momento è fisiologico, a quello che era nel 2018-19. Poi però non si riorganizza come dovrebbe in funzione di un’emergenza che nessuno ha mai pensato di breve durata. E in funzione del fatto che per scelta della direzione strategica guidata da Florenzano, mai contestata (almeno non risulta) dalla direzione generale della Salute, l’unico hub per le patologie tempo dipendenti della regione diventa centro per la cura del virus e ‘sacrifica’ tutta la sua terapia intensiva al Covid.
Fra gli ‘addebiti’ degli ispettori spicca questo: «Non si ha evidenza della definizione dei percorsi e delle procedure per la gestione delle reti tempo dipendenti (segnatamente trauma maggiore), con particolare riferimento ai pazienti con necessità di interventi simultanei urgenti/emergenti (cranio/tronco/arti)». Deciso che al Cardarelli si cura il Covid, l’Asrem ha rielaborato e riapprovato un nuovo percorso organizzativo, che stabilisce chi fa cosa e dove, per la rete del trauma (l’ultima revisione con delibera del dg Asrem è di agosto 2019)? Evidentemente no. Se fra le raccomandazioni di Urbani figura quella di «disporre di un protocollo che definisca i percorsi e le procedure» appunto per il trauma maggiore.
Anche la gestione del rischio contagio non ha passato l’esame degli ispettori coordinati dalla dottoressa Simona Carbone. «Da rilevazioni e colloqui col personale emerge la mancanza di una governance di direzione medica di presidio. Non sono chiare le competenze per la redazione e l’applicazione di protocolli operativi intraospedalieri sulla vigilanza sulle infezioni correlate all’assistenza (demandate all’iniziativa dei dirigenti medici e infermieristici delle unità operative e non di una struttura di controllo ad hoc), sulle attività di bed management, sulla sorveglianza degli operatori sanitari, sull’organizzazione e la pianificazione delle attività chirurgiche». E ancora: «Il personale medico e infermieristico non è apparso a conoscenza di protocolli e procedure per la minimizzazione del rischio di contagio, e, infatti, alcune delle procedure presenti all’interno del “Manuale delle procedure” consistono in una mera acquisizione delle raccomandazioni ministeriali, in assenza di recepimento e traduzione in istruzioni operative adeguate alla realtà dell’ospedale. Non risultano documenti emanati dal comitato di controllo infezioni correlate all’assistenza sulla gestione dell’emergenza Covid e il documento di costituzione del comitato infezioni ospedaliere è del 2018, anno in cui risulta insediata una direzione dell’Asrem differente da quella attuale».
Linguaggio tecnico, ma chiaro. E chiama in causa dirigenti di vertice dei settori di governance e rischio clinico nonché i direttori sanitario e generale dell’Asrem. Se Giustini piange, insomma, Florenzano e Scafarto non hanno di cosa sorridere.
Hanno, questo sì, su cosa lavorare. Infatti Urbani chiede, fra le altre cose, la «redazione di procedure (ove necessario declinate sui singoli presidi), loro diffusione a tutto il personale e monitoraggio della corretta applicazione», «formazione specifica sulla corretta applicazione delle procedure», «adozione di modelli operativi per la gestione delle attività di direzione medica di Presidio orientati al governo della qualità e della sicurezza delle cure».
Le liste operatorie, infine. Su cui pure il governatore Toma ha chiesto spiegazioni. L’Asrem imputa ai chirurghi il fatto, contestato dagli ispettori, che solo in alcuni casi le operazioni programmate sono state effettuate a Termoli e Isernia. I chirurghi risponderanno. Ma Urbani va oltre. Mette nero su bianco che c’è una «mancata governance delle liste operatorie» e «conseguente potenziale inappropriatezza di indicazioni e tipologia di interventi da non differire (per esempio l’area oncologica)».
Da profani, la criticità non appare avulsa da un contesto in cui mancano i protocolli per le reti tempo dipendenti in emergenza Covid e le procedure ad hoc per la riduzione del rischio contagio. Un contesto in cui pure gli ispettori hanno stentato a trovare nei documenti chi deve fare cosa. E come farlo.
rita iacobucci