Tutto come previsto, solo con qualche giorno di ritardo sul ruolino di marcia. Al Cdm di ieri il ministro Speranza ha proposto il nome di Flori Degrassi per l’incarico di commissario della sanità molisana, il titolare del Mef Franco quello di Annamaria Tomasella come sub.
La ex ed dell’Asl Roma 2 che succede ad Angelo Giustini a Primo Piano risponde, poco dopo che a Palazzo Chigi è stata definita tutta la pratica: «Non rilascio dichiarazioni». Massimo riserbo per una situazione comunque complicata. Cordialissima ringrazia per gli auguri, ma per ora nessuna dichiarazione.
Come è d’obbligo, tensione e suspance fino al comunicato ufficiale. Con voci che si sono rincorse in particolare sul contenuto del decreto e dei poteri affidati alla nuova struttura commissariale. Ma fonti parlamentari e di governo alle 20.30 ritenevano chiusa la questione: insieme a Degrassi, mai messa in discussione – nemmeno nelle ultime ore quando ha fatto capolino la critica latente al suo cursus in sistemi sanitari regionali di centrosinistra e quella sull’inchiesta che la vede indagata fra gli altri col governatore Zingaretti per la nomina di dirigenti delle Asl -, arriva dalla sanità veneta a marchio Lega (anzi Zaia) la ex direttrice amministrativa della Ullss 2 Marca Trevigiana.
Nel provvedimento di incarico 26 compiti per il commissario (a Giustini ne erano assegnati 20): nero su bianco la competenza sulla riorganizzazione ospedaliera e territoriale Covid, le competenze sui fondi dell’articolo 20 e, questa è una novità vera, l’assegnazione degli obiettivi al vertice dell’Asrem. Il commissario deve raggiungere il rientro e ha in mano la programmazione sanitaria, lineare che sia lui (lei in questo caso) a dire al dg dell’unica azienda sanitaria del Molise cosa fare (e misurarlo sul raggiungimento o meno di quegli obiettivi). Ma la nomina resta al presidente della Regione. Un altro incrocio dal potenziale non determinato e dall’esito non scontato.
Alla seduta ha partecipato il governatore Donato Toma che, invitato dal premier Draghi a sedere accanto a lui, ha ascoltato le proposte dei ministri titolari dell’iniziativa di nomina e ha chiesto di porre all’attenzione del Cdm le sue osservazioni e che restassero a verbale.
«Nulla di personale e nulla da ridire sui nomi, non è un esame e poi i curricula ci sono e sono di alto profilo. Ho ribadito la mia posizione che è di contrarietà al commissariamento. Nel 2018 – ha spiegato Toma rientrando da Roma – per la prima volta fu nominato un commissario esterno, nomina che io ho impugnato ed è sub judice. La maggioranza del Conte I blindò quella nomina con una norma che io portai alla Consulta e che ho fatto dichiarare incostituzionale. Oggi non c’è incompatibilità fra i due ruoli, a maggiori ragione ho ribadito che sono contrario alla separazione delle cariche di commissario e presidente, una dicotomia che la pandemia ha dimostrato, una volta di più, che non funziona. Ho ribadito anche la mia disponibilità a diventare commissario e io sarei a titolo gratuito. Non c’è stata quindi condivisione della nomina, è del governo che se ne assume la responsabilità politica e amministrativa. Non vuol dire che non ci sarà collaborazione, ma non avrò responsabilità su programmazione e decisioni».
Non gli dispiace la specificazione, per iscritto nel decreto, di cosa deve fare il commissario rispetto al Covid. «È il contenuto delle interlocuzioni di questi mesi con il ministero della Salute, è quello che io ho sempre sostenuto e che era chiaro. Io sono autorità di Protezione civile e non mi compete il rafforzamento della rete ospedaliera per l’emergenza, ad esempio. Allo stesso tempo ho chiesto che il governo rispetti il Patto per la Salute e le linee guida per la valutazione dell’operato dei commissari e che sia codificata l’uscita dal piano di rientro, non lasciata ai dirigenti ministeriali. Anzi, a questo proposito, considerato lo stato del debito – ha concluso – nessun super commissario può fare molto senza il contributo dello Stato».
rita iacobucci