Il Nino di Francesco De Gregori non doveva aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Già, perché non è mica da questi particolari che si giudica un calciatore. Fin qui non ci piove. Il problema, però, nasce se sei un arbitro. E i penalty, in una competizione in cui non è ammesso il segno X, dovresti farli battere alle due squadre per stabilire il vincitore. Non è stato così domenica scorsa per San Leucio Isernia-Olimpia Riccia, un match della Molise Cup allievi terminato con uno spettacolare 3-3. Non si sa se il direttore di gara abbia ritenuto erroneamente che si trattasse di campionato, se abbia semplicemente ignorato il regolamento della manifestazione o se non abbia invece ricevuto comunicazioni. Fatto sta che, a fine secondo tempo, ha mandato tutti negli spogliatoi tra lo stupore generale. La dimenticanza non è sfuggita al giudice sportivo che è stato costretto a decretare la ripetizione della gara di calcio giovanile. Nella Leva calcistica del ’68 il giocatore lo vedevi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. L’arbitro no. Né allora né al giorno d’oggi. Lui dovrebbe solo applicare le norme. Quelle che ora – inevitabilmente – dovrà ripassare.

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